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Emilia-Romagna: seduta notturna per la legge contro l’omotransfobia. Associazioni divise

Il Pd in Regione Emilia-Romagna si prepara a passare la nottata in aula, giovedì, per approvare la legge sull’omotransnegatività. “Abbiamo chiesto l’oltranza- annuncia all’agenzia DIRE oggi il capogruppo dem in viale Aldo Moro, Stefano Caliandro- i nostri medievalisti della destra si portino scarpe comode, perché andremo avanti all’infinito finché la legge non sarà approvata”.

Le critiche della comunità Lgbt

Quasi l’intera rete di associazioni arcobaleno dell’Emilia Romagna (tra queste Famiglie Arcobaleno, Agedo Nazionale, la presidente del comitato bologna Pride, Carla Catena, Gruppo Trans) affidandosi a un post su Facebook (qui per vedere i firmatari) ripreso poi dall’agenzia stampa DIRE, si dice ancora insoddisfatta per il testo licenziato la settimana scorsa in commissione. “Una legge che si manifestava già inizialmente come incompleta– affermano in una nota i movimenti- e che dopo aver subito diversi interventi, si rivela insufficiente per la nostra comunità”.
Questo perché “l’intera operazione politica, frutto di mediazioni interne al Pd in vista delle elezioni regionali, ci consegna una legge contro le discriminazioni di genere e orientamento sessuale non all’altezza delle nostre vite, depotenziata nel suo valore antidiscriminatorio da alcuni emendamenti approvati”.
Prima di tutto, spiegano i movimenti, “rimuovendo il termine omotransnegatività dal titolo, la Regione viene meno al riconoscimento di una pericolosa matrice di odio e di violenza”. Nella legge, inoltre, “viene meno l’impegno attivo nel rimuovere ostacoli all’effettivo esercizio della libertà e dell’autodeterminazione”, cioè all’accesso “senza discriminazioni a prestazioni sanitarie, welfare, lavoro, diritto allo studio e casa”. La legge regionale, tra l’altro, “pur citando la transnegatività, non propone strumenti di tutela regionali oltre la semplice delega a soggetti privati“.

“Una legge poco incisiva”

I movimenti lgbt criticano anche il fatto che “gli interventi formativi su educazione e sport non si rivolgono direttamente agli studenti, primi bersagli dell’omotransnegatività nelle scuole, come invece richiesto più volte dalle associazioni”. Ma la critica più grande rimane sulla maternità surrogata. Nella legge, critica la comunità lgbt, “è rimasto l’emendamento finalizzato a impedire l’erogazione di finanziamenti pubblici alle associazioni” che la pubblicizzano e “non sono state accolte le nostre richieste di eliminare ogni riferimento alla pratica della Gpa. L’uso strumentale di questo tema lede ancora una volta le famiglie lgbtq e risulta un compromesso inaccettabile in una legge come questa”. Allo stesso tempo, insistono i movimenti, “non è stata accolta la richiesta di inserire un riferimento all’applicazione della legge 194, quotidianamente sotto attacco”. Di conseguenza, “ci aspettiamo che con lungimiranza politica venga emendato il testo. Ci stupisce che le forze progressiste possano aspettarsi che le persone lgbtqi si accontentino di una legge già poco incisiva in partenza”

Branà: “Legge vitale per i piccoli comuni”

Tuttavia a segnalare una spaccatura all’interno dell’associazionismo Lgbt è Vincenzo Branà, presidente del circolo Arcigay il Cassero di Bologna che a GayPost offre una visione diversa: “Domani arriva a conclusione un percorso importante sul quale da molti anni le associazioni lgbti hanno investito grandi energie. Il voto della legge regionale contro l’omotransfobia segna un traguardo che apre una nuova stagione di empowerment delle persone lgbti nella nostra regione” dichiara.
“Quella legge, come bene ha detto l’assessora del Comune di Bologna Susanna Zaccaria, non serve primariamente alle associazioni, che già lavorano su molti più ambiti di quelli previsti dalla legge, con il sostegno degli enti locali, ma è di vitale importanza per i piccoli comuni in cui le associazioni non ci sono e in cui mancano risorse e coperture politiche per intraprendere percorsi di formazione e avanzamento su questi temi. Certo, in quella legge si sono giocati dei compromessi: abbiamo subito ancora una volta il dibattito sulla gestazione per altri, che siamo però riusciti a far arretrare dal livello della condanna morale e dei dispositivi ricattatori, a quello della definizione di legalità di quella pratica, che è un dato di fatto che spetta a noi eventualmente contestare con la messa in discussione, in sede parlamentare, della legge 40. Chiaramente il fatto che una legge contro l’omotransfobia attraversi questo dibattito è già di per sé stigmatizzante, ma quello stigma non è peculiare della nostra Regione, bensì proviene da molto lontano, cioè dal dibattito sulle unioni civili. Su questo si rende necessaria e urgente una riflessione interna al movimento per organizzare una reazione, che non può accontentarsi di agire nel contesto della legge regionale”

 

La posizione di Arcilesbica

Di altro avviso associazioni femministe come ArciLesbica e Udi: sperano che la Regione “approvi entro luglio una legge che mantenga l’impegno a lottare contro tutte le forme di discriminazione, violenza e sfruttamento basate sul sesso, utero in affitto compreso perché distruggono la vita delle donne e di tutti, causando una catena di dolore e disumanizzazione che e’ necessario spezzare”. Secondo Udi e Arcilesbica, infatti, “per arginare discriminazioni e bullismo la legge correttamente si impegna a lottare contro tutte le forme di violenza di genere, compreso l’utero in affitto. È importante ribadire tale divieto in nome della non commerciabilità della gravidanza, ma su questo punto c’è un’opposizione testarda da parte di alcune associazioni che hanno iscritti che hanno percorso la via della surrogazione di maternità e cercano di renderla possibile nel nostro Paese, attraverso la richiesta del riconoscimento alla nascita dei neonati partoriti all’estero, pubblicizzando una versione idealizzata del ricorso ai servizi delle cliniche estere”.

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