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Addio a Fidel Castro: dalla rivoluzione alle persecuzioni dei gay fino alle scuse

Figura controversa, e comunque destinata a rimanere nella storia, quella di Fidel Castro. La notizia della sua morte è stata data dalla Tv nazionale cubana, attraverso le parole di Raul, fratello del “lìder maximo” e suo successore alla guida dell’isola. Nel 2006, infatti, Castro aveva abbandonato la presidenza per motivi di salute. E dopo dieci anni lontano dai riflettori della politica mondiale, di cui è stato un rappresentante indiscusso, arriva l’annuncio della sua scomparsa.

Una vita, la sua, che assume connotati avventurosi e leggendari: dopo un primo tentativo di insurrezione al curate Moncada, una caserma vicino Santiago, viene arrestato e messo in prigione. Quindi, dopo un esilio tra Messico e Stati Uniti, organizza la rivolta: il 2 dicembre del 1956 torna in clandestinità a Cuba, dove sbarca con il Granma e ottantotto uomini tra cui Ernesto “Che” Guevara. In dodici si salveranno dagli scontri con l’esercito del dittatore Batista, vicino alla mafia italo-americana: con quel piccolo drappello di uomini, riuscirà a rifugiarsi nella Sierra Maestra dove organizzerà la guerriglia. Da lì la rivolta diverrà rivoluzione conquistando Cuba, liberata così dal regime di Batista. L’isola, guidata da Castro, resisterà all’embargo imposto dagli Usa per indebolire il potere del governo locale e conclusosi solo nel dicembre del 2014.

Rivoluzione che tuttavia si macchierà di processi sommari contro i dissidenti e evolverà ben presto in una dittatura, con cui farà i conti anche la popolazione Lgbt dell’isola. La persecuzione degli omosessuali è mirabilmente raccontata nel film Prima che sia notte, in cui si parla della storia del poeta Reinaldo Arenas, arrestato nel 1973 per il suo orientamento e condannato ai lavori forzati. Vizio borghese, l’omosessualità, secondo un vecchio modo di intendere nell’universo del “socialismo reale” le sessualità fuori norma. Alla fine, nel 1980, Castro autorizzerà omosessuali, ex carcerati e malati mentali a lasciare Cuba.

Diversi anni dopo, tuttavia, Mariela Castro Espìn – figlia di Raul – diverrà ministra della Salute e aprirà così una nuova stagione per la gay community dell’isola, con particolare attenzione alle persone transgender per la cui protezione e integrazione la ministra si è spesa molto. Quello che si può definire il primo Pride si celebrerà all’Avana nel 2008, ma l’unica associazione Lgbt era stata chiusa nel 1997. Attualmente non esistono associazioni Lgbt sull’Isola. In un’intervista rilasciata nell’agosto del 2010 al quotidiano cubano La Jornada, Castro chiederà scusa alle persone Lgbt, ammettendo le sue colpe. Una figura, si diceva, controversa: amata da chi lo considera l’attuatore del sogno rivoluzionario, odiata da chi, invece, lo giudica un dittatore non diverso da altri. Di certo, muore un protagonista indiscusso del Novecento.

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