Proprio ieri la ministra Lucia Azzolina ha condiviso sulla sua pagina Facebook una parte della valanga di insulti sessisti a lei diretti. Tali insulti provengono da utenti di un gruppo che sostiene la Lega – come riporta Il Fatto Quotidiano – e la titolare di Viale Trastevere ha condiviso lo screenshot per denunciarne la violenza. Sia ben chiaro: non si tratta di critiche per il suo operato, come sarebbe naturale per chi ha una carica politica, ma di offese incentrate «sul colore del rossetto o sulla “forma della bocca”».
La ministra così ha commentato, sempre sulla sua pagina: «Nessuna donna dovrà mai più leggere commenti così infimi, subire attacchi volgari e abietti come questi. È e sarà la mia battaglia. E la faremo a scuola. Educando le nuove generazioni al rispetto dell’altro, uomo o donna che sia, al pensiero critico, allo scambio di idee fatto con i contenuti e non con la volgarità. Provo molta pena per chi si esprime in questo modo e per chi alimenta questo tipo di reazione, parlando solo alla pancia e mai alla testa delle persone. È un sistema che va combattuto ed è lapalissiano che la scuola sia il naturale antidoto».
La buona notizia, se vogliamo, c’è: finalmente ci si rende conto qual è il territorio di intervento per creare cultura del rispetto. Anche del rispetto per le differenze di genere. Ma, se vogliamo dirla tutta, è un po’ la scoperta dell’acqua calda. Gli insulti sessisti alla ministra Lucia Azzolina sono il riflesso di una sub-cultura che da decenni sia il movimento femminista, sia quello Lgbt+ combattono e denunciano. È importante che certe tematiche si affrontino a scuola, come la ministra ha opportunamente sottolineato. Ma è triste che questa presa di coscienza arrivi in ritardo rispetto ad istanze decennali e solo perché il fenomeno ha toccato chi dirige la stanza dei bottoni a viale Trastevere.
Un’ulteriore riflessione andrebbe fatta, ancora, su quella che è la qualità della nostra classe politica in materia. Se da una parte abbiamo una Lega e FdI che blaterano di pericolo “gender” nelle scuole – dove il “gender” sarebbe proprio quell’educazione al rispetto e alle differenze, a cui si è appena fatto cenno – dall’altra abbiamo partiti e leader intrisi di quella mascolinità tossica che poi produce certe aberrazioni. Dalla bambola gonfiabile di Laura Boldrini, portata dal leader leghista sul palco, a Beppe Grillo che sempre contro l’ex presidente della Camera ha scatenato i suoi elettori, lunga è la lista degli esempi che si possono fare.
Dopo di che, non si può non essere d’accordo con la ministra Azzolina quando dice che occorre combattere questo sistema proprio a partire dalla scuola. Ricordiamo, tuttavia, che tale sistema non è strutturato a compartimenti stagni. L’odio contro le donne ridotte ad oggetti sessuali, il bullismo contro le persone Lgbt+, il razzismo e molte altre criticità sono ramificazioni di una stessa pianta: quella del patriarcato e dell’eterosessimo. È un sistema che vede nel maschio eterosessuale bianco la categoria privilegiata per eccellenza. È un sistema che per fare coraggio a un bimbo che piange, non trova di meglio da dire che “non fare la femminuccia”. Bisogna intervenire da qui. Le realtà femministe e Lgbt+ ci stanno lavorando da tempo. Forse sarebbe il caso di dar loro il dovuto ascolto.
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