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200 arrestati, almeno 20 morti: il video shock sulle torture dei gay in Cecenia

L’associazione Russian LGBT Network ha diffuso un video per raccontare quello che continua ad accadere in Cecenia agli omosessuali. Secondo gli attivisti, il numero degli arrestati perché gay è salito a circa 200, mentre i morti sarebbero almeno 20.
Nel video, la testimonianza di un uomo che è passato dalle prigioni segrete, è resa in forma di animazione per tutelarne l’identità.

Il suo racconto è impressionante. Spiega che la Cecenia è uno stato molto conservatore dove è impossibile fare coming out. I gay, lui per primo, sono costretti a vivere nella clandestinità. Padre di 3 figli e in attesa del quarto, l’uomo è stato arrestato perché il suo nome spuntava tra i contatti di un altro arrestato prima di lui: le reti private sono l’unico modo in cui i gay possono trovarsi tra loro. Così la polizia è andato a prelevarlo a casa e lo ha portato in un edificio con i muri molto spessi. Prima dell’arresto, è riuscito a nascondere il suo telefono.

Le torture

Nella prigione ha incontrato molti volti familiari, ma tutti hanno finto di non conoscersi. Gli agenti lo hanno picchiato per diverse ore, gli hanno fratturato le costole, lo hanno torturato con l’elettricità usando materiali speciali. Dalle stanze accanto sentiva le urla degli altri uomini torturati. La polizia voleva che ammettesse di essere gay e fornisse i nomi di altri amici suoi. Ma lui non ha ceduto. Intanto, l’uomo “che ci aveva venduti tutti – dice – è stato liberato”.

Lui e gli altri rimasti dentro per una settimana, sono stati tenuti senza cibo e senza acqua: potevano bere solo durante le abluzioni, prima delle preghiere.

Il male fisico non era il peggiore

Ma la cosa che faceva più male non erano le torture fisiche, racconta l’uomo. Erano quelle morali e psicologiche che erano insopportabili. Alla fine, è stato rilasciato. I familiari gli chiedevano perché fosse stato arrestato. “Sanno che non bevo, non fumo, non faccio follie in giro” spiega. Ma la polizia ha detto che era sospettato di essere gay. La sua famiglia non gli ha creduto: “In fondo, sono un padre di famiglia”. Se avessero saputo la verità, mi avrebbero ucciso con le loro mani.

Il tentativo di tornare alla normalità

A quel punto ha cercato di riprendere la sua vita, ma le persone non lo riconoscevano più. “I miei capelli erano diventati grigi” spiega.
Poi è cominciata la seconda ondata di arresti e una ex vicina lo ha avvisato che la polizia lo cercava di nuovo. A quel punto è scappato chiedendo rifugio da diversi amici. Fino a quando uno di loro lo ha convinto a chiamare le associazioni e chiedere aiuto. Alla famiglia ha raccontato che sarebbe partito per un viaggio di lavoro e con l’aiuto degli attivisti è riuscito a lasciare la Cecenia.

Gli incubi e la voglia di suicidarsi

“La Cecenia è piccola, ci conosciamo tutti – continua l’uomo -. Uno dei miei parenti partecipa alla caccia ai gay. Ma non sospetta di me e mi ha raccontato che sono stati arrestati circa 200 uomini”. Il parente ha raccontato che la polizia pressa sulle famiglie perché “si prendano cura” di loro. “Significa ucciderli” precisa.
Gli incubi, ora, lo tormentano la notte. Ha paura di usare il telefono, ogni macchina che passa lo terrorizza. Ha pensato di impiccarsi “ma è peccato”. Pensa sempre alla sua famiglia, a sua figlia che piange perché non riesce a dormire se lui è fuori casa.
Vorrebbe stabilirsi in un posto tranquillo, trovare un lavoro, portare la famiglia con sé, lontano dalla Cecenia.
“Non si può respirare, lì” conclude.

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