Unioni civili, Lo Giudice al Perugia Pride: «Le prime il 5 luglio»

“Unioni civili: una legge che cambia l’Italia” è il tema dell’incontro che si è tenuto ieri a Perugia al Pride Village, nella splendida cornice dei Giardini del Frontone, e che ha visto la partecipazione di Sergio Lo Giudice e Valeria Cardinali, parlamentari del Pd, del saggista Federico Zappino e dela rappresentante di Arcilesbica Lucia Caponera, sotto la graffiante conduzione di Roberto Mauri, membro dell’associazione cittadina Omphalos.

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Il senatore Sergio Lo Giudice

Sergio Lo Giudice ha ricordato l’iter della legge che nasce dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2010 e ha parlato del fatto che fossero state depositate diverse proposte in Parlamento – dal matrimonio aperto a tutti e a tutte a provvedimenti più blandi come quelli provenienti dai banchi delle destre – e di come, dopo l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi, e di fronte all’evidente mancanza dei numeri per una legge più avanzata, si sia preferito optare per la normativa attuale. Un provvedimento, ricorda il senatore, che dà tutti i diritti del matrimonio, ma di cui riconosce due limiti oggettivi: la mancanza di riferimenti diretti all’omogenitorialità e il vulnus sul principio di uguaglianza. «Si è seguita la filosofia del separate but equal – ha dichiarato Lo Giudice –, che significa che ti do l’accesso agli stessi diritti, ma con un istituto a parte». Precisando, subito dopo, che i prossimi passi saranno quelli in direzione della piena uguaglianza con l’arrivo al matrimonio egualitario. Con una notizia: secondo il senatore, ci si potrà unire civilmente a partire dal prossimo 5 luglio.

Accanto alla voce delle istituzioni, quella del movimento Lgbt: «Il dibattito politico sulla legge in questione ha fatto arrabbiare noi delle associazioni» ha dichiarato Lucia Caponera, ricordando la netta distinzione dei ruoli tra militanza e politica di palazzo, ovvero tra rivendicazione di diritti e principi inalienabili e sulle mediazioni dei partiti «le nostre realtà fanno la loro parte, noi puntiamo al matrimonio e alla tutela della genitorialità».

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Un momento del dibattito

Federico Zappino ha affrontato il tema della polemica interna alla stessa gay community: c’è una parte del popolo arcobaleno che considera l’accesso al matrimonio come un appiattimento sui valori borghesi e sul modello eteronormativo: «Le unioni civili sono un’imitazione di un modello eterosessuale? Cosa c’è di non egemonico in tal senso nella nostra società?» si è chiesto, retoricamente, puntualizzando tuttavia un aspetto anche polemico rispetto a chi si definisce entusiasta rispetto alla legge: «Sono d’accordo. È vero che con questo parlamento questa legge era il massimo possibile, ma la finalità per cui è nata è discriminatoria». E la stessa ragione per cui è stato tolto il vincolo di fedeltà, ha detto ancora, è un modo per suggerire che le coppie omosessuali, in quanto non stabili, sono inadeguate alla genitorialità, all’essere pienamente famiglia.

Il dibattito si è animato, anche con il contributo del pubblico. Roberto Mauri ha chiesto alla senatrice Valeria Cardinali se nel prossimo programma del Partito democratico ci sarà il punto sui matrimoni, ma la parlamentare si è mostra non del tutto possibilista: «A titolo personale sono favorevole, ma non sappiamo da qui a due anni come cambieranno le cose all’interno del partito». Posizione un po’ dissonante, a ben vedere, con le dichiarazioni di Micaela Campana e della stessa Monica Cirinnà, che hanno più volte affermato che all’indomani dell’approvazione della legge sarebbe cominciata la battaglia della piena uguaglianza proprio dentro il Pd.

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Una famiglia arcobaleno a piazza del Popolo

Non ci sta ancora Sergio Lo Giudice con chi vede il bicchiere mezzo vuoto: «La legge, così com’è, è destinata a modernizzare l’istituto familiare. E vi assicuro che non danneggerà la vita delle coppie gay e lesbiche», facendo notare all’uditorio come la recente sentenza sulle stepchild adoption colma il vuoto del legislatore, «la Corte di Cassazione ha riconosciuto nelle adozioni speciali un diritto che avevamo già».

L’argomento appassiona e scalda gli animi. Qualche sostenitore del M5S ha accusato il Pd di non aver voluto trovare l’accordo sul canguro, ma Cardinali si è opposta fermamente «è prassi dei grillini tirarsi indietro quando bisogna assumersi delle responsabilità». Dal pubblico c’è chi, come Francesco, si è detto contento della legge, anche se bisogna andare avanti e chi dissente, perché il ddl Cirinnà «è vecchio, arriva tardi e male». Punti di vista contrapposti, ma tutti concordi sul fatto che, compiuto questo primo passo, bisogna marciare spediti verso la meta finale.

Nella speranza che sia finito il tempo delle mediazioni al ribasso e degli insulti contro chi dovrebbe beneficiare dell’accesso ai diritti: ricordiamo tutti e tutte, ancora, le parole di Alfano all’indomani dell’approvazione in Senato e il silenzio di Renzi, che non difese la comunità Lgbt da quel volgare attacco. Nella speranza, in altre parole, che la prossima volta si festeggi davvero. E che si festeggi e basta. Senza le celebrazioni di vittorie mutilate per interessi di parte politica e senza la rabbia di chi si è sentito escluso da quella che doveva essere una vittoria dopo una lunga battaglia di civiltà.

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