Io, rom e gay: la storia di Claudiu, tre volte libero

Michele Ciavarella è attivista, scrittore ed è sensibile alla causa Lgbt. L’anno scorso si è trasferito in Romania per il servizio di volontariato europeo dove si è occupato di inclusione sociale. Lì ha conosciuto la comunità locale e ci ha inviato una sua testimonianza che abbiamo il piacere di pubblicare.

Ero a Bucarest la prima volta che ho incontrato Claudiu Marin, l’11 ottobre dell’anno scorso. Faceva già freddo, e la città, ancora straniera, mi incantava e spaventava allo stesso tempo.

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Claudiu Marin al Roma Pride

In occasione della giornata mondiale del coming out, ACCEPT (la prima associazione in Romania nella lotta per i diritti Lgbt) aveva organizzato un meeting. Vi andai da solo, col cuore pesante, masticando le mie prime parole in romeno. Appena giunto, Claudiu si avvicinò a me. Mi accolse per primo, trasformando il gelido alito di Bucarest in un caldo abbraccio, parlandomi in italiano. Oggi siamo amici.

Trentacinque anni, nato a Bucarest da padre ebreo e madre rom. Dopo la separazione dei suoi genitori, aveva due anni, ha trascorso l’infanzia con sua madre e il fratello più grande. Quando mi parla della sua identità, prima di tutto si sente rom, legato nell’anima e nel corpo alla sua famiglia, parte di una comunità in cui, di generazione in generazione, si sono trasmessi valori, canzoni e sentimenti senza tempo. C’è tanto amore nei suoi occhi, ma anche dolore. Non solo perché la prima causa di discriminazione che ha subìto è inscritta nel colore della sua pelle, ma anche a causa del Porrajmos, parola con cui si identifica l’olocausto della sua comunità.

«Non ho saputo a scuola della tragedia di mia madre, l’ho saputo a casa. Dovevo lavorare a una tesi sul maresciallo Antonescu. Non sapevo chi fosse. Scoprii che quest’uomo nel 1941 emanò un decreto che incriminava gli zingari nomadi, condannandoli alla deportazione. Questo decreto sarebbe poi stato esteso a tutti i rom. Nella zona del Bug, in Ucraina, c’era un campo di concentramento in cui venivano deportati i romeni del sud. Alcuni venivano messi su barche di cartone e lasciati annegare nel fiume. Il genocidio tolse una sorella, un fratello e un padre a mio nonno, che riuscì a sopravvivere e a tornare a casa».

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L’attivista Michele Ciavarella

Claudiu parla con una rabbia sacra. È la rabbia della vita che chiede giustizia. La persecuzione del suo popolo è anche la sua. Un sopruso ancora presente per due ragioni. La prima è l’ostilità che permane nella società romena – e non solo – verso la comunità rom. La seconda è il silenzio. Non essere raccontati è come subire una seconda morte.

«Ero incredulo, a scuola non ci avevano raccontato niente. Avevo tredici anni ed ero sotto shock, non capivo perché neanche mamma mi aveva parlato di questa tragedia. Lei diceva sempre che dovevamo vestirci da romeni e non da zingari. A diciannove anni, poi, ho avuto tra le mani il primo libro sui cinquecento anni di schiavitù dei rom in Romania. Ancora oggi nelle scuole non raccontano nulla di questo evento. Per i libri siamo tutti romeni, dei rom non si sa niente».

Sulla società romena in tema di integrazione, mi dice che la dittatura di Ceausescu ha molto influenzato la società: «I romeni sono molto orgogliosi di esser tali. Se vivi in Romania devi essere romeno e basta. È un popolo socievole ma con molti pregiudizi su tutto», anche sulle tematiche Lgbt. «Nel nostro parlamento Remus Cernea – un attivista per i diritti civili – ha proposto una mozione per modificare l’articolo di legge in cui si dice che il matrimonio è solo tra una donna e un uomo. La Chiesa ortodossa romena ha organizzato una petizione contro questa mozione, finita anche nelle scuole dove gli insegnanti di religione costringono gli studenti a firmarla sotto la minaccia della bocciatura».

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Un momento del pride a Bucarest

Una situazione che per chi è gay e anche rom, può essere esplosiva. Racconta Caludiu che «se fossi stato bianco non sarei stato così discriminato» sia dalla maggioranza, sia dagli stessi omosessuali. E continua: «Sui social molti ragazzi, nei loro profili, specificano che non vogliono conoscere zingari. Alcuni di noi cancellano del tutto la loro identità rom per sentirsi accettati». Qualcosa però si sta muovendo: «A Praga, nell’agosto del 2015, è stato organizzato il primo Roma Pride, il Gay Pride della comunità Rom. Hanno partecipato in tanti, da diversi paesi europei: Spagna, Ungheria, Bulgaria, Italia, Romania. L’idea di questo evento è stata di un attivista rom ceco, David Tișer».

Contraddizioni di un mondo in cui gli oppressi si trasformano in oppressori, vittime di pregiudizi che spesso la stessa comunità Lgbt locale potenzia. In un contesto in cui se sei gay, per strada, è facile che ti chiamino “fetița” (femminuccia) o “poponar” (culattone), ma in cui anche tra gli stessi omosessuali sono tante le discriminazioni. Il risultato più evidente di questa pressione sociale è la quasi totale mancanza di un movimento Lgbt al di fuori dell’isola felice di Bucarest, che con la sua multiculturalità offre più spazio alla libera espressione degli individui. In Romania, secondo un sondaggio del 2012 a cura dell’IRES (una specie di Censis locale), il 79,7% della popolazione non vorrebbe un vicino di casa omosessuale e il 53% preferirebbe che l’omosessualità venisse considerata illegale.

Claudiu è un esempio di coraggio, perché libero tre volte: in quanto rom che rivendica le sue origini, in quanto gay che non nasconde se stesso, in quanto essere umano nella sua integrità. Testimone di più tradizioni culturali in un solo sorriso. E se adesso Bucarest mi è cara, è anche grazie alla sua voce, che da quel­­ pomeriggio mi ha fatto sentire a casa.

(di Michele Ciavarella)

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