C’è poco da fare: il caso Weinstein ha aperto il vaso di Pandora come nessun altro caso prima di questo aveva fatto. Credo che molto si debba al fatto che moltissime donne “comuni” (non famose, non attrici) hanno sentito che era il momento di raccontare la propria storia anche, ma non solo, in sostegno di quelle che avevano denunciato e si sono paradossalmente ritrovate sul banco degli imputati (il che, come è stato ampiamente detto, spiega perché raramente si denuncia: per evitare il danno e lo scorno). Lo abbiamo visto con #quellavoltache e #metoo.
Ed è successo, ad un certo punto, che anche gli uomini abbiano cominciato a denunciare rompendo un altro tabù: anche gli uomini possono subire abusi, molestie e abusi. Una cosa che sta mandando in cortocircuito diversi neuroni, anche tra quelli più avvezzi all’esercizio. È quello che denuncia il caso Spacey, tutt’altro che chiuso.
Ora sta accadendo quello che era prevedibile: la normalizzazione e la diminutio.
Ho letto e continuo a leggere commenti sui giornali, ma anche sui social network, dai toni preoccupanti. “Eh, ma se a 14 anni vai ad una festa di adulti…”. Che, ve lo dico, non suona diversamente da “eh, ma se vai in giro in minigonna di notte…”. Ma soprattutto leggo commenti che tendono a sminuire la molestia, derubricandola alla categoria di approccio. “Ora non si può più corteggiare!”. Certo che si può corteggiare: non si può confondere il corteggiamento con la molestia. Questo non si può fare.
“Allora siamo tutti molestatori e molestati?!?!” è una delle domande che ho visto porre retoricamente. Be’, forse sì. Magari non tutti e tutte, ma molti e molte. Forse, invece di alzare gli scudi e difendere quello che anche noi forse siamo stati o forse abbiamo fatto, questa può essere l’occasione per fermarsi e riflettere. Non è facile riconoscere di avere avuto comportamenti deprecabili, lo è certamente di più autoassolversi. Ma se fosse il momento giusto per farlo? E ripensare tutto ciò che ha a che fare con la sessualità e con l’esercizio del potere (qualunque potere). Separarli, finalmente, una volta per tutte. Nella pratica quotidiana, a lavoro, per strada, nei rapporti con le persone che incontriamo.
Questa potrebbe essere l’occasione per una nuova “rivoluzione sessuale” (passatemi l’espressione, un po’ ambiziosa), per ricominciare a parlare di riappropriazione dei corpi e della sessualità. Cinquant’anni dopo, con un’ottica nuova e più consapevole.
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