Dati e fatti di cronaca pongono sempre più attenzione alle vicende di violenza della coppia in cui un partner agisce comportamenti aggressivi nei confronti dell’altro, ma talvolta si associa troppo velocemente tale atteggiamento unicamente alle coppie eterosessuali. Quasi mai, invece, si pensa che anche le coppie omosessuali, gay e lesbiche, possano vivere situazioni simili di violenza sia fisica che psicologica. Molti studi scientifici, in tal senso, hanno indicato che percentuali, modalità e caratteristiche con cui le violenze psico-fisiche sul partner sono del tutto comparabili a quanto accade nelle coppie eterosessuali.
Cos’è la violenza domestica? La violenza domestica ha a che fare con i comportamenti violenti e coercitivi che si mettono in atto all’interno di una relazione di coppia attraverso modalità intimidatorie e che hanno a che fare con il controllo. Tali atteggiamenti non si traducono spesso o in modo esclusivo in azioni fisicamente violente, ma possono sicuramente prendere la “piega” di maltrattamenti psicologici ed anche sociali. Per fare ciò l’aggressore mette in atto condotte al fine di esercitare un controllo e sul partner con certe conseguenze. La vittima, infatti, potrebbe percepirsi a sentirsi sbagliata oppure colpevolizzarsi del proprio malessere e dell’aggressività della propria relazione, perdendo di vista i maltrattamenti subiti o che continua a subire.
Tale concettualizzazione del controllo all’interno del rapporto di coppia prescinde, ovviamente, dal genere biologico, dalla propria identità sessuale nonché dall’orientamento sessuale Eppure, i tradizionali ruoli di genere hanno così profondamente influenzato il modo di vedere e studiare la violenza che nell’immaginario collettivo l’aggressore continua a essere identificato in un individuo di genere maschile mentre la vittima continua a essere riconosciuta in una donna. Così, si tende a escludere la possibilità che una relazione omosessuale possa essere violenta o, comunque, ancor quando riconosciuta come tale, ne viene sottostimata la gravità, ritenendo che la violenza subita da un uomo, oppure quella perpetrata da una donna nei confronti della sua compagna, non abbia lo stesso grado di pericolosità e le stesse drammatiche conseguenze della violenza cui una donna viene sottoposta da un uomo (Petilli, 2015). Solo perché il rapporto è “tra pari”. Il rischio è che si continui a negare o a non “vedere” il problema, impedendo così di porre la giusta attenzione e la creazione di servizi idonei e specializzati. La prima conseguenza è che la vittima possa sentirsi sola a gestire la relazione violenta, contribuendo ad alimentare il clima di solitudine e incomprensione talvolta caratterizza la vita delle persone omosessuali.
Gli stereotipi intorno alla violenza domestica e l’identificazione di un abuso con il rapporto maschio-femmina portano molto spesso gay e lesbiche a non riconoscere, loro per primi, quello che sta accadendo alla loro relazione: a non interpretare, cioè, l’aggressività del partner come un vero e proprio maltrattamento. C’è infine un’ultima ragione del mancato riconoscimento e della poca informazione sul problema: la paura all’interno della stessa comunità LGBTI a far emergere la violenza nella coppia, per l’idea che si possa aumentare così il discredito nei suoi confronti. Ma questo, ovviamente, non ha a che fare né con il genere biologico né con l’orientamento sessuale. Semplicemente perché la violenza non è l’orientamento sessuale.
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