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Trump colpisce ancora: via dagli Usa i partner gay del personale Onu

«Il Dipartimento di Stato non permetterà più ai partner gay dei dipendenti delle Nazioni Unite di ottenere visti, a meno che non siano sposati». È questa la denuncia su Twitter dell’ex ambasciatrice delle Nazioni Unite Samantha Power. «Solo il 12 per cento degli Stati membri delle Nazioni Unite consente il matrimonio tra persone dello stesso sesso». Per gli altri, insomma, è previsto il rimpatrio. Un provvedimento che è stato definito, dalla stessa Power, come «inutilmente crudele e bigotto».

Coppie costrette a sposarsi

La nuova misura è l’ennesima dell’amministrazione Trump contro i diritti delle persone Lgbt. La notizia del “nuovo corso” all’Onu riguardo i partner dei/lle dipendenti gay e lesbiche è stata diramata tramite una nota ufficiale e prevede che le coppie dello stesso sesso, per poter rimanere nel territorio americano, debbano essere regolarmente sposate entro il 31 dicembre. Ciò porta ad un duplice problema: molte coppie saranno costrette a sposarsi, per poter rimanere negli Usa, mentre per i membri di quei paesi dove non esiste il matrimonio la situazione si complica ulteriormente.

Donald Trump, presidente degli USA

Fuori dagli Usa anche chi ha siglato l’unione civile

Infatti, i partner che si trovano già negli Stati Uniti possono sì convolare a nozze per poter rimanere accanto ai loro compagni e alle loro compagne, ma in quei paesi in cui l’omosessualità è reato sarebbero esposti ad azioni legali e a persecuzioni. «Ciò avrà un impatto negativo sulle coppie omosessuali di paesi che vietano il matrimonio tra persone dello stesso sesso o che permettono solo le unioni civili» dichiara Akshaya Kumar, rappresentante all’Onu di Human Rights Watch. Insomma, la decisione di Trump colpirebbe anche alcuni dei nostri connazionali che vivono a New York.

Una doppia discriminazione

La vecchia normativa, che permetteva ai partner dei diplomatici e dei dipendenti Lgbt di poter entrare negli Usa, era stata voluta da Hillary Clinton, quando era segretaria di Stato dell’amministrazione Obama. La misura, pare, si applicherebbe ai dipendenti ma non ai diplomatici, creando quindi un’ulteriore discriminazione. Di certo, non si capisce la ragione per cui vietare a chi condivide un progetto di vita insieme di poterlo proseguire e di poter vivere dignitosamente la propria esistenza. Ma stiamo parlando di un’amministrazione che tanto ha già da farsi perdonare in merito. La cosa, anche se fa male, non sorprende.

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