Rainbow

Il secondo figlio, i sensi di colpa e gli equilibrismi del cuore

Con il secondo figlio è tutto più semplice.
Intanto perché è evidente che molte cose le hai imparate con l’esperienza già vissuta.
E poi perché hai molte meno ansie e preoccupazioni… il che talvolta significa anche dare meno attenzioni di quelle riservate a suo tempo al primogenito, e non è detto che questo sia sempre un male!
Quello che per me è stato davvero difficile in questo primo anno di vita di Alice, in realtà, non è stato tanto occuparmi di due bambini piccoli insieme, di cui la seconda molto meno “angelica” rispetto a Luca (che a 6 mesi già dormiva tutta la notte anche 10 o 11 ore di seguito senza mai svegliarsi), quanto piuttosto convivere con dei perenni sensi di colpa

La piccola voce malefica

Per quanto puoi avere la certezza che stai facendo del tuo meglio per occuparti di entrambi, senza scatenare le gelosie del “grande” e allo stesso tempo senza trascurare la “piccola”, compiendo a volte veri e propri equilibrismi del cuore, infatti, comunque dentro di te una piccola vocina malefica ti dice: “ecco, potevi fare meglio, potevi fare di più… potevi, potevi, potevi”.
E invece, passati questi primi tredici mesi, lasciatemi scacciare via quella vocina malefica e fatemi dire (a costo di sembrare anche superbo) che io e Sergio ce la siamo cavata proprio bene, anche perché non c’era affatto nulla di scontato.

I “terrible two” e la gelosia

Quando è arrivata Alice, infatti, Luca era ancora piccolissimo, aveva poco più di due anni: aveva iniziato a parlare da poco, non aveva ancora tolto il pannolino ed era appena entrato nella fase dei “terrible two” (e chi ha – o ha avuto – un figlio dai 2 ai 4 anni sa benissimo a cosa mi riferisco!).
Abbiamo lasciato che lui manifestasse la sua gelosia senza negativizzarla (che poi a dire il vero con Alice è sempre stato dolcissimo e protettivo, fin da subito, e al più manifestava la sua insofferenza verso di noi), non gli abbiamo chiesto di crescere più in fretta né gli abbiamo mai fatto pesare che lui fosse “quello grande”, lo abbiamo coccolato, ma cercando di non assecondare i suoi capricci.

Il nostro piccolo aiutante

E soprattutto lo abbiamo coinvolto passo dopo passo nell’arrivo di Alice e nella sua crescita: da quando era nella pancia di K. a quando poi abbiamo iniziato a prenderci cura di lei, trasformandolo nel nostro piccolo aiutante a volte, ma senza mai forzarlo. Lo abbiamo rassicurato sempre sul fatto che, comunque, il nostro affetto per lui era immutato e semmai addirittura rafforzato. E spesso guardando insieme le vecchie foto e i vecchi video di quando lui aveva la stessa età di Alice.

Un grande gioco di squadra

Non esistono formule segrete in queste cose. E, sì, noi forse siamo stati bravi o forse siamo stati solo fortunati, ma di sicuro è stato un gioco di squadra in cui ognuno ha fatto la sua parte: io, Sergio, Luca con tutta la sua dolcezza e la grande capacità di reagire in modo perfetto ai cambiamenti, Alice con quel suo sorriso contagioso e lo sguardo sempre innamorato verso il suo fratellone.
Forse il segreto dunque è proprio questo: un pizzico di fortuna e un grosso gioco di squadra – che rende Famiglia – nel trovare insieme i giusti equilibri (e poi la capacità di scacciare via gli inevitabili sensi di colpa, of course!).

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