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Queeriodicals: il mondo Lgbt prima del web, in mostra a Milano

Nella vita della gran parte dei giovani gay, lesbiche e trans, c’è stato un momento, subito dopo la presa di coscienza di se stessi, nel quale ci si è sentiti completamente soli. Gli unici al mondo ad essere “così”, o in ogni caso gli unici in un raggio tale da avere la possibilità di creare in modo sereno delle relazioni, uscire dal guscio in cui l’essere minoranza fa spesso sentire relegati. L’associazionismo è un passo successivo, lontano, per molti impensabile, i locali spesso hanno bisogno di tempo per essere affrontati. I nativi digitali in genere trovano il primo contatto con il mondo LGBT nelle app, o qualcuno dei portali di informazione online ormai facilmente disponibili.

Il mondo Lgbt prima del web

Ma prima dell’esplosione di internet? A questa domanda risponde Luca Locati Luciani, collezionista, che ha curato una mostra esposta gratuitamente fino al 16 settembre negli spazi espositivi della Biblioteca Sormani di Milano, con la collaborazione di Giovanni dall’Orto. Il titolo è eloquente: Queeriodicals. Era attraverso i periodici, infatti, che la comunità poteva accorgersi di esistere, tenersi in contatto, ritrovarsi rappresentata al di fuori del proprio armadio. Scoprire il mondo e approcciarsi, spesso, alla lotta politica e ai fermenti culturali nei quali la comunità LGBT è stata progressivamente inclusa, mentre i movimenti si sviluppavano.

L’impegno di Locati Luciani

Locati Luciani si è distinto negli anni per una raccolta certosina, ricchissima e accurata, di cui alla Sormani è possibile vedere una selezione di grande valore e completezza storica. Dalle prime pubblicazioni scientifiche risalenti al 1870, a quelle tedesche e francesi a cavallo di fine Ottocento e inizio Novecento, prima del silenzio imposto dal nazifascismo. E poi la rinascita, del movimento omofilo prima, e di quello di liberazione omosessuale poi, che con i moti di Stonewall del 1969 ha potuto iniziare a espandersi dagli USA al resto del mondo. Fino ad arrivare al nostro paese, con la nascita del “Fuori!”, e anche in Italia, di una pubblicistica di settore, oggi quasi definitivamente trasferita sul web. Abbiamo intervistato Luca Locati Luciani, per farci da guida lungo la visita della sua preziosa collezione.

La parola al curatore di Queeriodicals

La storia dei periodici a tema LGBT arriva da lontano, forse più di quanto molti si aspettano, e inizia con trattazioni scientifiche. La prima forma di rivendicazione?

Il primo periodico rivolto ad omosessuali ad essere mai apparso è il tedesco Uranus, creato nel 1870 dal latinista e pioniere della lotta per i diritti degli omosessuali Karl Heinrich Ulrichs. Uscì un solo numero, e si dovette attendere sino al 1896 per avere nuovamente periodici di questo tipo, prima con l’italiano Archivio delle psicopatie sessuali (che oggi probabilmente farebbe storcere il naso ai più per i contenuti), e poi con il tedesco Der Eigene, fondata nel 1896 da Adolf Brand come pubblicazione anarchica, e solo in seguito divenuta rivista rivolta ad omosessuali.

In Italia i periodici erano numericamente limitati e per lo più arrivati tardi. Ma che valore hanno avuto per il movimento italiano?

In realtà, come accennavo, l’Italia è stata una delle prime nazioni in cui abbia visto la luce una rivista rivolta ad omosessuali, l’Archivio delle psicopatie sessuali, fondata nel 1896 dal napoletano Pasquale Penta con lo scopo di fare piazza pulita di pregiudizi e stereotipi sull’omosessualità, attraverso un approccio scientifico. Nel 1921, poi, venne fondata da Aldo Mieli la Rassegna di studi sessuali, altro periodico che cercò di portare anche in Italia le istanze del movimento di liberazione omosessuale tedesco, con il quale peraltro Mieli aveva contatti. Purtroppo l’avvento del fascismo portò ad una diminuzione graduale degli articoli inerenti l’omosessualità all’interno della Rassegna, e Mieli stesso nel 1928 dovette trasferirsi in Francia (in seguito emigrerà in Argentina, dove sarebbe morto nel 1950).

E dopo?

Bisogna attendere la fine della Seconda Guerra Mondiale per avere nuovamente tentativi di editoria periodica attenta alle istanze “omofile” (il movimento di liberazione omosessuale, negli anni tra il 1946 e i Moti di Stonewall, avrebbe adottato il neologismo “omofilo” per definirsi, in contrapposizione ad “omosessuale”, termine visto come troppo legato alla sessualità e poco adatto per essere pienamente accettato dalla società dell’epoca); ad esempio con gli articoli scritti dal teosofo Bernardino Del Boca per le riviste Scienza e sessualità, e Sesso e libertà, all’inizio degli anni Cinquanta. La prima vera rivista del movimento di liberazione LGBT post-Stonewall è però il Fuori!, organo del movimento omonimo, che vide la luce nel dicembre del 1971.

E cosa accade negli anni Settanta?

Nella seconda metà degli anni Settanta poi vennero fondati vari periodici, alcuni usciti in un solo numero, legati ai collettivi omosessuali sorti un po’ in tutta la penisola, e Felix Cossolo iniziò la sua esperienza editoriale prima con Lambda (dal 1976), e poi con Babilonia (la più longeva rivista LGBT italiana, fondata nel 1982 e chiusa nel 2009). Insomma, senza voler fare la storia dell’editoria LGBT italiana, sicuramente molti tra questi periodici sono stati per molt* una fonte di informazioni, un modo per sentirsi meno soli, e magari l’occasione per prendere coscienza di sé in modo più deciso e fare coming out.

Dall’Orto suggerisce che i periodici lesbici siano sempre stati, storicamente, più castigati. Perché?
Io direi, invece, non sempre e non in tutti i casi. Il movimento lesbico è sempre stato vicino alle istanze del movimento femminista, che però comprende visioni anche diametralmente opposte da gruppo a gruppo, anche per quanto riguarda la rappresentazione erotica, la pornografia. Ad esempio uno dei primi periodici lesbici italiani, La bollettina del CLI (Collegamento lesbiche italiane), nato nel 1981, era effettivamente piuttosto castigato quanto ad immagini, mentre la milanese Towanda!, nata nel 1994, aveva un approccio più autoironico, già a partire dal nome di alcune rubriche come Ormoni a mille e Traffici saffici. Senza contare le numerosissime fanzine lesbiche di taglio più queer, in cui la pornografia ha anzi una valenza politica.

Ancora di minor quantità le pubblicazioni a tema T* cosa avevano di caratteristico?

Forse è vero che numericamente è meno numerosa, ma ha radici altrettanto lontane nel tempo; in fondo già nel Jahrbuch für sexuelle Zwischenstufen fondato nel 1899 dalla prima associazione omosessuale militante (il Wissenschaftlich-humanitäres Komitee, fondato a Berlino da Magnus Hirschfeld nel 1897), si disquisì più volte di transgender ed intersessuali. Nel secondo dopoguerra iniziarono, specie negli Usa e nel Nord Europa, ad uscire riviste rivolte principalmente a crossdresser, mentre con il movimento di liberazione LGBT post-Stonewall apparvero articoli redatti da collettivi attenti alle tematiche T*, e qualche bollettino interamente dedicato a questi temi. Negli anni Ottanta, poi, vennero fondate testate come Transgender Tapestry e Narcissus. Quindi direi che di caratteristico questo tipo di riviste abbia avuto la sua evoluzione, da articoli di taglio prettamente scientifico a periodici disimpegnati per amanti del crossdressing fino ad un taglio più militante dalla fine degli anni Sessanta.

In un’epoca votata al web, qual è il messaggio che lasciano ai Millenials tutti i periodici che hai voluto mettere in mostra?

Ci sono molti spunti che si potrebbero prendere dalla lettura di questi periodici; attraverso alcuni nati sull’onda della liberazione sessuale anni Settanta sicuramente si può ancora imparare molto su tematiche come corpo, sessualità slegata da dogmi prestabiliti, nudità, concetto di coppia. In fondo oggi si parla molto di poliamore, ma è un concetto che proviene da qualche decennio fa.

Pensi che il web sia un’opportunità per l’informazione LGBT o che ne svilisca la qualità?

In questa mostra non ho ampliato il discorso alle testate online, ma non per spocchia, quanto perché preferivo materiale “fisicamente” esponibile. Non ho alcun pregiudizio verso l’informazione via web; ce n’è di buona o di pessima come già accadeva ed accade per quella cartacea…

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