Rainbow

Il pride un carnevale? E tu sei affetto da omofobia interiorizzata

Eppure l’omofobia interiorizzata ve l’avevamo già spiegata: perché di questo si tratta, se pensi che il pride sia un orrido carnevale. Giusto per toglierci il sassolino dalla scarpa e chiamare le cose con il loro nome. Sì, perché abbiamo pubblicato pochi giorni fa la vignetta di Walter Gropius sulla solita tiritera moralistica riguardo le marce dell’orgoglio – con la sequela di “no al circo”, “non si manifesta col culo in bella mostra”, ecc – e, puntuale come un “blocca profilo” sul Twitter di Gasparri, sui social arrivano le reprimende dei soliti gay perbenisti. No, ragazzi. Non ci siamo. E vi spiego perché.

I moti di Stonewall, a New York (1969)

Se non ci fossero state le “carnevalate”, come le chiamate voi – o il circo, se preferite – oggi non potreste esibire, fieri e orgogliosi, bicipiti e pettorali sui social network, mezzi nudi a gennaio magari. Gli stessi dai quali proferite le vostre verità contro chi, in piazza, ci scende per quello che è: con i lustrini, con la sesta di reggiseno (e in borsa i preservativi per taglie forti), con la foglia di fico sul pacco o completamente ricoperto d’argento. Perché a un certo punto della storia, chi da sempre è stato messo ai margini per ciò che era si è detto: “fanculo, io esisto per ciò che sono”. Si chiama autodeterminazione.

A Stonewall, da cui tutto è cominciato, si prendevano a manganellate quelle trans che avevano addosso più di tre capi femminili. Fino a quando una di loro – Sylvia Rivera, santa subito e per sempre, aggiungo io – si è scocciata di essere trattata da scarto dalla norma e, di conseguenza, da rifiuto umano. Un sottoposto che parla, ricordiamolo, non è più tale. E il linguaggio non è soltanto atto verbale. Le immagini parlano, urlano. Il nostro corpo anche. Per cui, ribadiamolo, se oggi potete dire che vi piace il pacco del tipo comodamente seduto di fronte a voi in metro, magari fotografandolo pure e dandogli gloria eterna pubblicandone l’immagine su Facebook – ah, a proposito: sarebbe reato –  è grazie a chi, anni addietro, ha fatto “circo”.

Ciò non significa, ovviamente, dover riprodurre o essere acriticamente d’accordo con un certo tipo di manifestazione del sé. Perché poi entrano in gioco altri fattori, quali l’opportunità del gesto, il cattivo gusto, il successo comunicativo e mille altre varianti. Ma una cosa dovrebbe essere chiara: il rispetto per l’altro/a. E quando giudicate per l’eccesso di “colore” chi manifesta ai pride, attaccate il diritto di quell’individuo di esistere per ciò che è. E il pride è il momento dell’anno in cui ognuno è come è. Stonewall ci dovrebbe aver insegnato questo. E non, invece, che esistono gay di serie A e gay di serie B.

Un momento del Roma Pride (2015)

Qualcuno dirà: gli etero non capirebbero, non ha senso scandalizzarli. Ebbene, mi pare che in millenni di storia dell’umanità la maggioranza eterosessuale è sempre stata scandalizzata e non mi pare che nella Londra medievale o nella Firenze del Rinascimento si andasse in giro coi carri a far baldoria, capeggiati da orde di Vladimir Luxuria ante litteram. Le cose, a ben vedere, sono cambiate quando l’amore che non osava dire il suo nome lo ha detto a chiare lettere e, soprattutto, lo ha manifestato. Anche con l’eccesso. Non è compiacendo chi vi vede come un errore che guadagnate il diritto alla dignità. Men che mai facendo gli stessi discorsi. Se avete visto film come Milk o Pride avete già capito di cosa sto parlando.

Altri sostengono: non è così che si ottengono diritti. E per costoro, anzi, l’esibizionismo (cit.) ritarderebbe la strada del raggiungimento degli stessi. Basta vedere, a tal punto, i pride di Madrid, Parigi, New York ed altre capitali dell’occidente per capire che non è affatto così: roba che i nostri, in confronti, sono rendez vous per educande cattoliche. Oltre al fatto che, voi che peccate di hybris, avventurandovi in tali deterministiche affermazioni, dovreste dimostrare qual è la relazione per cui se io domani vado in corteo in giacca e cravatta poi Alfano cambia idea e vota sì per il matrimonio.

Insomma, ci troviamo di fronte a due modi di pensare. Il primo: esiste una sola “norma” e ciò che non obbedisce ad essa va represso, evitato, possibilmente vietato. E il secondo: esistono tutte le diversità e vanno rispettate, anche se non ci piacciono. Poi ognuno ha la sua identità e bisogna costruire un mondo in cui coabitare in modo pacifico, nel rispetto reciproco. Il pride veicola il secondo messaggio. Il primo è più roba da family day. Chi di voi ha paura della carnevalata o non sopporta il circo, forse dovrebbe interrogarsi su quale manifestazione appoggiare da ora in poi.

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