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Pierre, ambiguo e irresistibile, guidato dai sensi per le strade della Francia

Il road movie conserva sempre il suo fascino e garantisce quel senso di libertà selvaggia, il contatto con il mondo, di ricerca di se stessi, e se si tinge di gay sa essere anche estremamente godereccio.
Pierre abbandona la sua vita di tutti giorni per un viaggio senza meta attraverso la Francia. Quattro giorni in cui l’uomo si lascia guidare dalle suggestioni dei luoghi che visita e dallo spirito naif dei paradossali personaggi che incontra. Paul, il suo compagno, si mette sulle sue tracce cercando di localizzarlo attraverso Grindr, nota app di incontri gay per smartphone.

Guidato dai sensi, senza moralismi

Jeròme Reybaud, il regista di “Jours de France” non dà spiegazioni: il suo Pierre parte e si lascia guidare dai sensi, dai suoi bisogni, dalle sue pulsioni. Forse per noia, forse per necessità di risvegliare istinti naturali andati in letargo, forse per prendersi una pausa da Paul, che nonostante tutto continua ad amare moltissimo.

Partenza e arrivo della pellicola sono due incognite, ciò che conta è nel mezzo: le esperienze fortificano anima e corpo, lo ravvivano. Perciò tralasciando ogni forma di moralismo, ogni uomo è buono per andarci a letto, ogni donna per sentirsi un confidente importante. Pierre si carica sulle spalle un pezzetto di esistenza di ciascuno dei suoi “compagni di viaggio”, consegna messaggi, accompagna viandanti a destinazione, si lascia derubare senza neppure opporre resistenza, e va in estasi. Andare in estasi per il protagonista ha molte sfaccettature: può essere un paesaggio mozzafiato, una canzone o un bellissimo corpo da possedere. Questa sensazione non si attenua neanche quando ci sono delle barriere spesse come i muri che dividono le stanze di un motel.

La quotidianità che insegue l’uomo

Gli incontri paradossali che affastellano e riempiono le vuote solitudini dei quattro giorni on the road sono la metafora delle paradossali incongruenze della vita, la manifestazione priva di inibizioni di tutto ciò che nella quotidianità va tenuto a freno. Nonostante ciò funzioni e provochi uno smodato piacere, la quotidianità, che in questo film è incarnata dal fidanzato preoccupato e disperato, insegue l’uomo e, presto o tardi, lo raggiunge tornando ad ingabbiarlo nella frenesia di una routine che sembra non volersi soffermare sul bello, o ancor peggio, annullare la bellezza di un qualunque fenomeno, naturale e non.

Pierre: ambiguo e irritante, ma irresistibile

Reybaud insiste sul concetto di cammino, di strada di percorso, non a caso la maggioranza delle scene vengono girate dall’interno dell’abitacolo dell’auto, più precisamente dal posto del passeggero. Insiste sul paesaggio francese come cornice di un instancabile e repentino mutamento emotivo. Il grigiore di piccole città di provincia, il verde delle distese pianeggianti, le montagne maestose, le tempeste di neve, il mare che si infrange sugli scogli sono la rivisitazione in chiave naturalistica ed atmosferica dell’essere dei personaggi – primari e secondari senza alcuna distinzione.

L’empatia con Pierre è immediata, per quanto lo si trovi ambiguo e in alcune occasioni irritante, si finisce con il condividere passivamente – o attivamente – parte delle sue esperienze. “Jour de France” è, quindi, un piacevole cammino alla scoperta di una nazione piena di fascino e si un’umanità esistenziale, paradossalmente contraddittoria e godibilmente esilarante.

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