Rainbow

Perché quel nudo in piazza ci infastidisce tanto?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera di Marco Alessandro Giusta, di Arcigay Torino

Care amiche e amici di Gaypost.it,

Si è molto discusso nei giorni scorsi rispetto a un’azione di un dimostrante alla manifestazione del 5 marzo a Roma, ed ho letto così tante narrazioni, a favore e contro, che spero non dia fastidio una riflessione in più, che va presa con la leggerezza di due centesimi tintinnanti che cadono in una ciotola.

Quali i fatti? Andrea Maccarrone si è presentato nella piazza convocata dalle associazioni vestito (solo) con una foglia di fico (e una mantellina rainbow) che rappresentava le unioni civili.

Inizio col dire che più che un’opinione, ho cercato di pormi delle domande e trovare delle risposte, a partire dal fatto che anche in me, che da sempre professo la finalità rivoluzionaria del movimento e la libertà di ogni forma di espressione, quel gesto ha generato un (piccolo) fastidio, visto così, a oltre 2000 km, attraverso alcune foto. Ma quel piccolo fastidio che ho scoperto in me l’ho trovato molto interessante, e quindi piuttosto che negarlo, o cancellarlo unendomi ai commentatori da social network che spesso pare abbiano la verità in tasca o sul comodino mi sono fermato, ho fatto accomodare quel fastidio e gli ho posto alcune domande.

Cosa ti ha generato?, gli ho chiesto. Sicuramente non il messaggio, che condivido.

Sarà forse stato il gesto? Può essere, sicuramente una parte di quel fastidio è scaturita da un gesto importante compiuto “fuori” da una cornice di riferimento. Mi spiego meglio: nessuno nota più, se non accarezzandone con lo sguardo i confini, un ragazzo in mutande ad un Pride. Perché circondato da altri come lui, perché inserito in un contesto che, proprio per le mille svariate realtà e caratterizzazioni che lo compongono, non consente di definire un’immagine uniforme. La piazza del 5 marzo era diversa, e a parte un “frocio vileda”, il gesto di Andrea risultava “difforme” alla “norma”, un po’ come se guardassimo una fila di matite tutte allineate tranne una. Il fastidio quindi che si genera in noi altro non è che il nostro tentativo di assimilare quello che vediamo, e ciò che non risulta assimilabile diventa fonte di fatica aggiuntiva, di attivazione interpretativa, di sforzo ulteriore. Di fastidio, insomma.

Sarà stata forse l’opportunità? Il Giornale dava notizia della manifestazione con un minuscolo articolo quasi interamente dominato dalla foto di Andrea. Per chi come me fa attivismo e monitora la comunicazione da anni, era un articolo atteso, così come attendiamo i tweet di Gasparri, le condivisioni frenetiche nei gruppi omofobi (Hai visto? HAI VISTO??), le polemiche nei gruppi di attivisti lgbt etc. Un gesto forte che passa attraverso l’uso del proprio corpo, un gesto molto queer, non poteva non passare inosservato, condiviso e commentato. Era il caso di farlo in quella piazza orientata piuttosto a districare due emozioni forti, la rabbia e la voglia di cambiamento? Era il caso di farlo sapendo che sarebbe stata in tutti i modi strumentalizzata, decontestualizzata, messa alla berlina o agitata come un mostro?

Facciamo un gioco. Cambiamo domanda: perchè le persone omosessuali fanno figli e figlie, sapendo che essi potrebbero (potrebbero, sottolineo) essere più a rischio di discriminazione a causa dei loro genitori per colpa di una società che è arretrata e non li accetta? La risposta a questa domanda tutti la conosciamo: anzitutto non è affatto (così) vero che i figli delle persone LGBT siano maggiormente discriminati, e in secondo luogo essi pagherebbero solo il conto di una società malata e arretrata culturalmente. Dovrebbero le persone LGBT smettere di fare figli, di richiedere uguali diritti, perchè la società non è pronta?

Dovrebbe Andrea andare in giro con i pantaloni perchè la società (e noi) non è pronta?

Sarà stata forse la persona? Quasi in chiusura, quanto ci ha dato fastidio sia stato Andrea a compiere quel gesto, e non – e non si offenda Andrea – un ragazzo con un fisico palestrato e depilato, maggiore interprete (perchè già parzialmente omologato ad una “norma” estetica – e se questa ricostruzione vi sembra parziale, vi allego la foto di un ragazzo che era con la camicia aperta sul palco: nessuno pare se ne sia lamentato)? E quanto del fastidio generato deriva proprio che a farlo sia stato Andrea, attivista di lungo corso cheha ricoperto ruoli importati come la presidenza del Circolo Mario Mieli, quasi come se affogassimo in un cocktail composto da ambizione personale, divismo, relazioni associative e personali, rapporti di potere e di posizione? Ovvero, quanto ci dà fastidio che quel gesto potrebbe, secondo la nostra lettura, essere stato fatto non solo come gesto rivoluzionario ma come un modo per essere sotto tutti i riflettori? Eppure, eppure, quando nei Pride vediamo le drag queen fotografate da tutte e tutti, senza tema alcuna di dichiararsi in favore delle telecamere, proviamo lo stesso fastidio? Quanto, quindi, quel fastidio è davvero fastidio e non si trasforma in una punta di invidia?

Sarà forse invece quell’impulso sottile, che ogni tanto mi porta a sorridere anche quando non vorrei, a procedere sulle punte dei piedi, quella necessità sociale di non disturbare, di non parlare a voce alta, di non dare fastidio, appunto? Quell’impulso sottile che alcuni definiscono omofobia interiorizzata, altri la necessità di appartenere ad una norma, altri o altre ancora nella necessità dell’essere umano di far parte di un gruppo e di accoglierne i costumi maggiormente diffusi e con essi confondersi per non sentirsi “esclusi”? Quella forma di “appartenenza” al potere, pur all’interno di una dialettica di contrasto, che segna tutto ciò che non si conforma alle comuni modalità di resistenza allo stesso come “estraneo” e “non riconosciuto” e in definitiva, fastidioso?

Personalmente, penso che il mio (piccolo) fastidio sia un insieme di tanti piccolissimi fastidi, che analizzati e scomposti formano un quadro di resistenze interne che difficilmente riusciamo a riconoscere, sopratutto per chi pensa di esserne immune grazie al proprio quotidiano attivismo, e che in definitiva occorre ringraziare Andrea per il proprio gesto, che ci ha dato la possibilità di guardarci in uno specchio e di scoprire un piccolo tassello in più di noi stessi, un piccolo pezzetto di interiorizzazione del sistema che vorremmo modificare.

Marco Alessandro Giusta – Arcigay Torino

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