Nell’antica Grecia gli aedi rimodulavano storie già note, tramandate per secoli da cantori sconosciuti. L’intreccio non variava se non di poco eppure le emozioni che quegli antichi cantori riuscivano a muovere erano sempre nuove, attraversavano le generazioni e stringevano padri e figli attorno al fuoco della fantasia. “La Bella e la Bestia” è una favola antichissima, tornata alla ribalta grazie al film di Walt Disney, uscito a marzo di quest’anno (per la regia di Bill Condon), e al film d’animazione degli anni Novanta, sempre firmato Walt Disney (1991).
La versione della favola più vicina a quella che noi conosciamo è nel racconto di Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve. Siamo nel 1740 a Parigi. Nonostante diamo per scontato l’origine francese di questa favola, ancor prima di Gabrielle-Suzanne, a raccontare questa storia era stato un italiano, Giovanni Francesco Straparola.
Siamo nel 1550, a Venezia, e Straparola dà alle stampe “Le piacevoli notti”: tredici novelle, raccontate da tredici donne, per tredici notti. La seconda notte, Isabella inizia a raccontare una storia molto particolare, che ha come protagonista il «figliuolo nato porco» di un re d’Inghilterra. Solo quando incontrerà una ragazza capace di amarlo così com’è, il giovane rivelerà la sua vera identità, si lascerà scivolare di dosso la «pelle porcina», mostrandosi nella sua bionda bellezza.
Anche il motivo della rosa da portare in dono a Belle è tratto dalla de Beaumont. Prima di partire per andare al mercato Maurice chiese alle figlie cosa volessero ricevere in dono: due desideravano gioielli, Belle una rosa. Dopo essersi ritrovato nel maestoso castello della bestia, l’uomo, che cercava di prendere una rosa per Belle nel giardino del maniero, fu scambiato per un ladro dal padrone del castello e qui rinchiuso.
A proposito dei genitori di Belle, nel film a differenza che nel cartone, si fa un affondo nel passato della protagonista e si accenna all’infanzia della bestia, proprio come aveva fatto Villeneuve, che aveva dedicato al tema (con soluzioni differenti) tutta la prima parte del suo racconto. Ma nella Bella e la bestia 2017 la rosa si carica di valori simbolici ulteriori: qui all’amore viene dato un corpo ed è quello della rosa custodita nella teca dalla bestia, che scandisce il tempo che gli resta non solo per far innamorare di sé una persona, ma soprattutto per imparare ad amare, a «sentire», da una condizione di bestiale indifferenza.
A mano a mano che la bestia inizia a «sentire», nel film, la sua figura si modifica e i lineamenti si addolciscono, diventano sempre più umani. Ma la rosa nella teca è anche il simbolo di un amore non convenzionale, ritenuto immorale dalla società e perseguitato: l’amore tra un essere umano e una bestia, emblema di ciò che è radicalmente diverso. La diversità è il tema che attraversa tutto il film.
E a questo proposito come non pensare all’amore perseguitato per eccellenza, incompreso, quello che «non osa pronunciare il suo nome»? In effetti nel film ci sono diversi elementi che non alludono genericamente alla diversità di un amore contrastato dalla società, ma sviluppano il motivo dell’amore omoerotico, non presente in nessuna delle versioni precedenti. Non è di poca importanza il fatto che sia stato scelto Luke Evans, attore hollywoodiano dichiaratamente omosessuale, per interpretare il personaggio di Gaston, stereotipo di una eterosessualità machista e maschilista. La novità, inoltre, sta non solo nell’introduzione di un personaggio gay, il primo nella storia della produzione disneyana, Letont, ma anche nel fatto che lui sia innamorato proprio di Gaston.
Si arriva, poi, alla fine del film con Letont che ha percorso tutta la parabola del suo amore e arriva a riconoscere che Gaston, in fondo, “non lo merita”: «Tu sei troppo buono per lui» lo ammonisce Missis Bric durante la scena comica della battaglia tra gli oggetti animati del castello e gli abitanti del villaggio insorti al seguito di Gaston. E così Letont si allontana definitivamente dall’amico e dalla sua battaglia, per passare dalla parte di Lumière, Tockins e gli altri. È in questa occasione che Letont si rende conto dell’impossibilità di un «rapporto asimmetrico».
Ma questa relazione non è l’unica traccia del motivo omoerotico che attraversa tutto il film.
Quando Letont si distacca dall’amico, si compie la vera rivoluzione: egli passa dal «rapporto asimmetrico» con Gaston, finalmente, a un tipo di «rapporto simmetrico». Di lì a poco, nella scena conclusiva del ballo, in un frame brevissimo, lo troveremo danzare in mezzo alle altre coppie (tutte uomo-donna), abbracciato a un altro uomo. Il ragazzo stretto a Letont è uno dei tre scagnozzi di Gaston (quelli che avevano costretto Maurice nel carro che lo avrebbe portato al manicomio), un personaggio anonimo, ma giovane e bello, che si era fatto notare nella scena della battaglia al castello.
Disney ci ha regalato di questa favola una versione intensa, non il semplice racconto di una storia d’amore, ma una riflessione ampia sui rapporti umani, sui legami autentici, sul «sentire»: legami amorosi, filiali, amicali. Come restare indifferenti di fronte alla scena che precede la trasformazione degli oggetti in esseri umani? Lumiere, Tockins, Mrs. Bric e gli altri sono non oggetti vivi, ma vivi oggetti, esseri umani, cioè, che a mano a mano che il tempo passa e la rosa sfiorisce, si trasformano sempre più in cose.
In questa scena essi si irrigidiscono definitivamente e fanno appena in tempo a darsi l’un l’altro l’estremo saluto: in loro ritroviamo il peso del corpo-materia che, a un certo punto del percorso, si impone sulla volontà umana. Mentre la bestia sta per morire davanti agli occhi di Belle (legame amoroso), Mrs. Bric dice addio a suo figlio, Chicco, in un grido (legame filiale) e Lumière si rivolge al caro Tockins (legame amicale) e continua a parlargli finché l’irrigidimento non gli toglie il fiato e lo costringe al congedo e in breve di lui resta solo un candelabro, peso morto, che non sente.
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