L’omofobia scolastica non è una novità, anzi è proprio tra aule, bagni e corridoi che si consumano i casi più gravi di violenza, psicologica e fisica, contro studenti e studentesse “marchiati” dal sospetto di essere omosessuali. E chi lavora nel settore sa quanto può essere difficile rompere certe dinamiche aggravate, molto spesso, sia dal muro di omertà tra gli stessi allievi sia il silenzio delle vittime, che si sentono colpevoli (e quindi, per paradosso, meritevoli) di subire la discriminazione stessa.
«L’omosessualità è contro natura, perché non è possibile che un essere umano possa amare un altro essere umano dello stesso sesso, e a me fa schifo» disse un’altra preside, questa volta ad Ascoli Piceno, a un rappresentante di istituto del liceo linguistico Stabili-Trebbiani, che voleva organizzare un evento per la Giornata Mondiale contro l’omofobia. E a volte, il disprezzo non si ferma solo alle parole: nella provincia umbra, nel 2014, un ragazzo è stato prima insultato – “essere gay è una brutta malattia” – e poi picchiato dal suo stesso professore. Una situazione desolante, soprattutto se si pensa che la scuola dovrebbe essere il luogo in cui l’individuo forma la sua coscienza, dove dovrebbe sentirsi incluso e protetto, soprattutto da chi dovrebbe svolgere il compito di formatore. E invece troviamo anche al di qua della cattedra il pregiudizio.
Per averne una dimostrazione in diretta, infine, vi invito a visitare il gruppo Facebook Professioneinsegnante.it. Qualche giorno fa uno dei suoi membri ha pubblicato un’immagine su cui campeggia la scritta “come cambiano i costumi sociali” dal 1950 a oggi: ieri c’erano famiglie numerose, coppie di fidanzati eterosessuali pronte a promettersi amore eterno e maschi che corteggiavano le ragazze; oggi, invece, coppie gay, coppie senza figli ma con i cani nel passeggino e orde di donne che inseguono ragazzi in fuga. Un rovesciamento tra ordine naturale e sfacelo dei tempi moderni, a quanto pare. E leggere i commenti è sconfortante: «Siamo peggiorati» scrive Stefania Lucchese, insegnante, in risposta all’immagine. «Non sempre il cambiamento è sinonimo di evoluzione! Ahahahah» continua Lisanna Dave, impiegata al Miur, palesemente allietata dalla vignetta. «Amore deviato», è lapidario Franco Canale, altro membro del gruppo. E a chi fa notare che l’amore è tale e va rispettato, Pietro Satta domanda: «Anche quello incestuoso tra padre e figlia o quello zoofilo tra il padrone e il suo cane. L’amore è amore, no?».
Eppure la scuola dovrebbe essere un’agenzia educativa e sappiamo per certo che in altri paesi, dove il rispetto per le minoranze è un valore e non mero esercizio retorico, commenti di questo tipo sarebbero censurati e non certo in nome di chissà quali ideologie, ma perché permettere di disprezzare un essere umano per ciò che è, non è un atteggiamento civile. La scuola italiana, invece, sembra permettere ancora questo tipo di barbarie. Nel silenzio di molti, nell’inefficacia degli interventi delle istituzioni, nelle parole che feriscono da parte di chi dovrebbe educare e proteggere.
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