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Se perfino Michela Murgia scivola sull’omofobia (in nome del referendum)

Che la campagna referendaria in corso abbia toccato livelli di bassezza spesso imbarazzanti, dall’una e dall’altra parte senza distinzioni, è sotto gli occhi di tutti. Più che del referendum e del quesito sulla riforma costituzionale, non si fa che parlare di polemiche. L’ultima, in ordine cronologico, è nata dalla condivisione sui social network, da parte di Michela Murgia, di una foto che ritrare i piedi di un uomo, chiaramente in una doccia, e una saponetta a terra con scritto “Basta un Sì”, lo slogan di chi è favorevole alla riforma. La scrittrice l’ha pubblicata perché, invece, schierata per il no. La foto fa appello al peggiore immaginario sessista e omofobo, alle battute da caserma quelle per cui se c’è un gay in circolazione e ti abbassi (per prendere la saponetta, appunto) rischi che questi ti penetri a tradimento. Non c’è bisogno di dilungarci oltre sulla stupidità di questo luogo comune e su quanto perpetri stereotipi odiosi e discriminatori.

Se una foto del genere l’avesse condivisa una persona notoriamente omofoba, avrebbe fatto sì rumore ma, ahinoi, l’avremmo ascritta al solito modus operandi di certe persone. Insomma, non averebbe fatto notizia o quasi.
A diffonderla però è stata la scrittrice Michela Murgia, considerata dalla comunità LGBT un’alleata e un’amica per il suo lavoro decennale sugli stereotipi di genere, il linguaggio sessista, il maschilismo, l’omofobia, il body shaming sul corpo delle donne ecc. La cosa ha spiazzato molti e com’era prevedibile, sui social network è un susseguirsi di attacchi alla scrittrice additata come omofoba.

Una brutta caduta di stile, che certo da parte di Murgia, nessuno si sarebbe aspettato. Uno scivolone che richiederebbe delle scuse perché, sinceramente, non pensiamo che Michela Murgia, alla luce del suo lavoro, possa essere definita omofoba, ma quella foto lo è. Lo è l’immaginario che richiama, lo è il pregiudizio che solletica, lo è. Nonostante i tentativi di difesa dell’autrice del tweet che, rispondendo a chi la attacca, sostiene che in quello scatto non ci sia traccia di omofobia e che sia una metafora del “farsi prendere per il culo“. Oppure che “quindi se arriva un ebreo e mi dice ‘sei nazista perché nella foto ci sono la doccia e la saponetta’ ha ragione?”. Risposte non degne della caratura di chi le scrive e basta leggere i suoi saggi o i suoi articoli per rendersene conto.

Non ci schieriamo, quindi, con chi addita la scrittrice sarda come omofoba, pensiamo invece che sarebbe il caso di distinguere tra persone omofobe e battute, linguaggio, immagini che lo sono, come quella pubblicata da Murgia (e realizzata chissà da chi). Lo sono e alimentano quella cultura machista che tanto strenuamente si combatte quotidianamente e che anche la scrittrice combatte. Non fa neanche un favore al fronte del “no” con cui si è schierata in questa campagna referendaria perché adesso fioccano le facili condanne da quello opposto.
Insomma, lei, signora Murgia, non è l’omino che blatera stuipidaggini sull’autobus al vicino di posto: è un’intellettuale che sul linguaggio discriminatorio ha scritto e studiato tanto. Cos’è successo? Possibile che questa camapagna referendaria stia abbrutendo proprio tutti? Possibile che, a scivolone fatto, sia così difficile fare un passo indietro e chiedere scusa? Sbagliare è umano. Non ammetterlo…

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