I bambini urlanti e la nuova tendenza dei locali no-kids

Ogni tanto capita che qualcuno che segue il blog mi scriva un messaggio privato.
In particolare, oltre ai complimenti estetici su Luca, la classica frase che mi viene detta è: “Luca deve essere proprio un bambino buono, si vede perfino dalle foto!

A me scappa sempre da ridere, e così ho cercato di capire se in qualche modo nel mio raccontarci quotidianamente non abbia involontariamente rimosso gli aspetti negativi che comporta un figlio piccolo: forse a volte l’ho fatto, altre volte di sicuro meno
Luca effettivamente – e chi lo conosce dal vivo lo sa – è un bambino molto dolce e tendenzialmente buono, di quelli che fanno i capricci ma se li fanno passare presto, di quelli che puoi portarli in giro senza temere che inizino a sfasciare tutto.
Poi ovvio che sia un bimbo di 2 anni e mezzo, e dunque che abbia quei momenti tipici di questa età per cui decide di puntare i piedi per avere ragione lui ad ogni costo.
Però, soprattutto quando andiamo fuori e siamo al parco, al ristorante, in albergo o altrove, di base rimane un bambino decisamente più buono della media.

Pochi giorni fa un mio amico ha postato un articolo di Repubblica di 2 anni e mezzo fa in cui si parla della tendenza, sempre più diffusa, di ristoranti e alberghi “no-kids”, per stimolare un dibattito sul tema (ed aumentare il suo klout score anche eh!).

Nel gennaio 2014 Luca non era ancora venuto al mondo e dunque quei discorsi mi toccavano superficialmente, adesso invece da padre vedo tutto in un’altra ottica.
Tralascio le questioni prettamente legali (un locale pubblico infatti non può impedire l’ingresso ad una categoria di persone) perché comunque parto dal presupposto che io con mio figlio in un locale in cui il proprietario odia i bambini o non li vuole perché lo disturbano non ci andrei comunque.
Questa tendenza onestamente non riesco a giudicarla come buona o cattiva perché, nonostante sia genitore (o forse proprio per questo) in parte posso capire che ci siano delle persone che quando vanno in albergo o al ristorante vogliano stare in assoluta tranquillità, senza sentire fiatare una mosca.
Però allo stesso tempo questa diffusa insofferenza verso gli altri mi preoccupa: non vogliamo essere disturbati dai bambini oggi (trasmettendo per altro loro un messaggio di rifiuto che io trovo raccapricciante) e domani da chissà da quali altre categorie…

È stato sempre così? O semplicemente stiamo lentamente disimparando cosa vuol dire la tolleranza e il vivere insieme, con tutti i pro e i contro (compresi dei bambini urlanti – che non sempre urlano perché sono maleducati ma alle volte sono solo stanchi o stanno male o cercano attenzioni) che ne conseguono?
Io non so proprio darmi una risposta, stavolta magari aiutatemi voi 🙂

Comments
  • Paolo
    Rispondi

    In Toscana esercizi NO KIDS potrebbero essere teoricamente vietati in forza dell’art. 16 della L.R. n. 63/2004: “Gli esercenti di pubblici esercizi non possono rifiutare le loro prestazioni, né erogarle a condizioni deteriori rispetto a quelle praticate alla generalità degli utenti senza un legittimo motivo e in particolare, fra l’altro, per motivi riconducibili all’orientamento sessuale o all’identità di genere”.
    Ritengo tuttavia irrinunciabile che i genitori s’interroghino sull’opportunità di portare i bambini al ristorante, con le lunghe sedute che ciò comporta, molto sgradite ai bambini (a dire il vero anche a me, bambino e adulto). Lasciamo dunque i ristoranti agli estimatori del proverbio “a tavola non si invecchia” e proponiamo ai bambini pic-nic e self-service, da abbandonare non appena finito il pasto.
    Quanto agli interrogativi antropologici generali, bisogna essere coscienti che la nostra società è programmaticamente ipersocializzata, contrariamente ai ritornelli mediatici che si sentono fin troppo spesso, per generare conformismo utile al sistema dei consumi e al controllo sociale. Dato che questa ipersocializzazione è una forzatura, come reazione più o meno conscia si genera facilmente un’intolleranza verso il prossimo, spesso focalizzata su categorie specifiche (bambini, anziani, omo e transessuali, stranieri, ecc…)
    L’autenticità individuale si apprezza invece solo nel silenzio e nella sospensione delle relazioni con altri umani, possibilmente immersi nella natura, che ha il potere di diluire l’ego nella vasta complessità cosmica, ridimensioandolo e relativizzandolo.
    La mia personale soluzione è dunque quella di frequentare il meno possibile situazioni provincial-borghesi, utilizzare i ristoranti limitatamente alla stretta necessità di ottenere un pasto fuori casa, anche buono e speciale, non come un pretesto per lunghe sedute di chiacchera; con questa prospettiva i bambini sono più contenibili, quando si spazientiscono ci segnalano la vacuità delle nostre convenzioni sociali, dunque impariamo da loro, concludiamo il pasto e usciamo a giocare!

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