Io, Lauro e le rose: quando l’amore è più forte della morte

«Tre amici e le loro bravate», così racconterebbe il suo libro Io, Lauro e le rose Mario Artiaco, in «un mix tra ingenuità, sogno, incoscienza e malattia». Una narrazione dell’omosessualità che comprende gli abusi e «la morte che pone fine a una vita, non a una relazione». Due registri diametralmente opposti – suggerisce ancora, raccontandosi a Gaypost.it – come il giorno e la notte, come la gioia e il dolore, che scandiscono il ritmo e le sensazioni.

Dall’adolescenza alla malattia

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La copertina del libro

I due registri a cui allude l’autore richiamano in primo luogo l’adolescenza, l’età dei giochi e della spensieratezza, fino ad arrivare ad un viaggio che segna la fine di un’epoca. «Il viaggio più strampalato e impraticabile cui si possa ardire». L’altro registro assume toni e circostanze drammatiche e anche l’inesorabile e lento spegnersi del protagonista finisce in secondo piano spodestato dai racconti della sua giovinezza. In questo incedere della narrazione, il progressivo disvelarsi dell’omosessualità di Raffaele si impossessa della scena in un susseguirsi di ricordi dettati dall’urgenza di fronte alla propria fine: «Raffaele racconta, e chiede di raccontare, avvenimenti assolutamente disparati nei toni, nei tempi e nelle ambientazioni. Il tempo stringe e non intende terminare il suo viaggio terreno tormentato da rimorsi e rimpianti».

Il mondo? Vorrei fosse un posto migliore

«Ho deciso di raccontare questa storia», prosegue ancora Artiaco «perché vorrei, senza retorica, il mondo fosse un posto migliore per le mie figlie, per i nostri ragazzi e la possibilità che ciò avvenga passa anche attraverso le battaglie per i diritti delle minoranze». L’autore si arrabbia quando, alle presentazioni del suo libro, fanno notare che è un eterosessuale. Una sottolineatura dell’ovvio, dal suo punto di vista. «L’ho chiesto proprio a tutti e nessuno ha saputo rispondermi in maniera affermativa: qualcuno conosce un solo panda iscritto al Wwf?»

Abbattere le barriere tra i due mondi

Eppure il punto di vista di una persona eterosessuale – una persona che segue la “norma” per dirla con Mieli o “secondo natura” per assecondare la narrazione ecclesiastica e religiosa – è interessante. «Le barriere le costruiamo noi. Provo ad abbattere quelle che mi circondano» ci confessa l’autore. Che sulla lotta ai diritti ha idee chiarissime: «Se restano ancora barriere tra due mondi che purtroppo dialogano poco, come quello eterosessuale e omosessuale, allora sto dalla parte giusta: quella delle minoranze». Si dice “compassionevole” nei confronti degli omofobi, Artiaco: «è tutta una questione di pura e mera ignoranza. La storia, la vita che racconto nel mio romanzo, inizia a insinuare dubbi anche tra i più convinti bigotti».

Uno sguardo all’Italia di oggi

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Mario Artiaco

Lo scrittore non può non guardare, ancora, alla contemporaneità. «Credo ci sia ancora molta strada da fare, nel nostro paese. Uno Stato falsamente laico, con poche leggi». L’animo di Artiaco si agita, di fronte alle ingiustizie del presente. «La televisione pochi giorni fa ha comunicato che a Bari, l’8 giugno, è stata picchiata una coppia di ragazzi gay e le scene riprese dalle telecamere di sicurezza sono raccapriccianti. Non abbiamo una legge esemplare che sancisca atti di violenza del genere come reato penale. Non c’è tutela per i figli di coppie omosessuali. Uno Stato che vuole essere civile ha il dovere di tutelare ogni suo cittadino e offrire pari diritti».

Quando l’amore più forte della morte

Artiaco scrive come atto di testimonianza, nel panorama più ampio di una scrittura militante, di valore sociale. È un romanzo d’Amore, il suo. E dice di scriverlo così, con la maiuscola. «E non si intenda quello che alberga tra uomo e donna o tra persone dello stesso sesso. Si narra anche dell’amore che lega indissolubilmente le vite di tre amici, amici da bambini e fin all’ultimo respiro», ci ricorda ancora lasciando vibrare quelle corde interiori del suo animo e che si riversano nelle pagine del suo romanzo, «dell’amore che resta comunque e sempre più forte della morte».

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