Politica&diritti

La resistenza arcobaleno ai tempi di Bolsonaro: 3 attivisti si raccontano

“Cambieremo il destino del paese” aveva dichiarato il giorno del suo insediamento il neo presidente Jair Messias Bolsonaro, nostalgico della dittatura, carico di odio per i gay, pronto a mettere un fucile in ogni casa affinché il cittadino «perbene» possa difendersi dai banditi. Lui “il capitano” che si è fatto spazio grazie alle ospitate dei più importanti programmi televisivi, consapevoli gli autori che qualche frase pesante sulle donne, i gay, le persone di colore e la droga sarebbe comunque venuta fuori. «Preferisco che mio figlio muoia piuttosto che diventare omosessuale», «Lei, signora, non si merita nemmeno di essere stuprata». Eletto nel mese di ottobre con il 55% dei voti, oggi il destino del Brasile è già cambiato.

L’associazione Grupo Gay de Bahia ha riportato che il numero delle persone LGBT uccise è salito del 30%. Solo nell’ultimo anno si contano 445 morti (58 i suicidi). Una situazione drammatica già raccontata da Monica Benacio per GayPost. Vite fragili in posto dove il machismo, la cultura cattolica, l’ordine sociale fondato sul buon padre di famiglia e sull’ ipocrisia che ne derivano è rafforzato, triplicato. Su “Attitude” sei persone lo raccontano e dicono qualcosa di più: come resistere, raccontano la “resilienza” una brutta parola per una bellissima nozione che indica il processo che permette alle persone di adattarsi a condizioni di vita sfavorevoli. Alcuni, più di tutte le minoranze perseguitate, manifestano una resilienza sorprendente. Abbiamo scelto tre storie:

Dudx, 29 anni Artista e Attivista

Sono fortunato perché ho una famiglia meravigliosa che sa di me. Mia madre è un’assitentea sociale e attivista per i diritti delle persone di colore, queer e povere. Ma il Brasile è un paese conservativo dove comandano la bibbia e i proiettili. Qui anche i media sono in mano all’estrema destra. São Paulo è una delle poche città che può dare respiro alle persone LGBT. Io vengo da Campo Grande al centro del Brasile, da dove sono scappato perché non volevo farmi ammazzare. Qui a São Paulo, centro del mondo che vede sempre turisti e gente nuova, ci si sente meno soli. Dopo le elezioni però siamo più insicuri e essere apertamente queer è diventato pericoloso. Dobbiamo essere attenti, strategici. Sappiamo che il nemico non ha paura di noi; ogni giorno perdiamo le nostre amiche trans, massacrate. Due giorni prima natale un parrucchiere di nome Plínio è stato ucciso sulla Paulista Avenue, la strada principale di São Paulo. È morto con un coltello conficcato nel cuore, soltanto perché gay. Naturalmente i giornali hanno raccontato la storia come se avesse semplicemente litigato con il suo assassino senza difendersi. Io ho un privilegio: sono grosso, tatuato e questo allontana in qualche modo le persone. Mi difende. Sappiamo benissimo che Bolsonaro non è il nostro unico nemico, questo governo estremista lo è. C’è tanto lavoro da fare.

Ana Giselle, 22 anni artista e “TRANSALIEN”

Sono di Recife nord est del Brasile ma vivo a São Paulo come artista, scrittore e attivisti per i diritti delle persone trans e “travestis.” La parola “travesti” non ha una traduzione ma si riferisce a una persona di sesso maschile che ha un’identità di genere femminile e che io chiamo “transalien”, che da il senso di un’identità nuova e che vuole costruire il proprio corpo libero da ogni standard, regole, cis-normative. Ho anche fondato MARSHA!, un movimento che incoraggia per persone transessuali a resistere e un progetto TRANSFREE che aiuta le persone trans materialmente. La vittoria di Bolsonaro non mi sorprende: i media e i brasiliani, sono per la maggioranza dei fascisti, lui ne è solo il portavoce. Come Travesti sopporto la violenza ogni giorno, violenza di ogni genere. Questa elezione ha cambiato il mio mondo. Eravamo già una società fragile, il Brasile ha il più alto numero di trans uccise nel mondo. Le nostre esistenze sono già state provate e sono pronte alla resistenza, alla politica, al potere. La mia esistenza è resistenza. Questo è la risposta a questo governo. Mia madre è mai famiglia, l’unica che non mi ha rinnegato che condivide le mie visioni politiche, quando Bolsonaro è stato eletto mi ha chiamato per dirmi di essere forte, per dirmi che mi amava. La giustizia è un’invenzione in questo paese, un’utopia per il Brasile ma è anche nostra responsabilità reinventarci per combattere ed evitare di lasciare ai margini le persone nere, trans, non conformi al genere persone che non hanno mai conosciuto né giustizia né accettazione.

Wesley Miranda, 26 anni Art Director

Negli anni passati il conservatorismo è cresciuto in Brasile. Si sono uniti i movimenti anti-Lgbti a quelli cattolici. Quando la gente usa la religione — il cristianesimo — per giustificare la violenza non sorprende che personaggi come Bolsonaro arrivino al potere. Io non vivo con la mia famiglia dal 2014. Mia madre odia Bolsonaro, mio padre lo sostiene. Mio padre del resto è un militante omofobo nonostante abbia due figli gay.
Durante la campagna elettorale le violenze nei confronti delle persone LGBTQI sono aumentate -soprattutto verso le persone trans. Un livello così impressionante che adesso con l’elezione di Bolsonaro sono diventate la norma. Per stare al sicuro molte persone fingono di essere etero, evitano di indossare il rosso perché rappresenta il comunismo. Censurano le proprie idee anche online perché qualcuno potrebbe dargli la caccia. Ma la comunità LGBTQI è forte e non ha paura. Abbiamo sempre resistito -la comunità trans soprattutto- continueremo a farlo, siamo organizzati in gruppi e collettivi per difenderci e aiutarci a vicenda. Siamo noi e le donne, insieme per resistere.

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