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Le guide di Gay Lex, unioni civili: che succede, adesso, con il cognome comune?

È di mercoledì scorso la notizia dell’ordinanza di Lecco con la quale il giudice ha inibito al Sindaco del Comune di Lecco di annullare l’annotazione anagrafica del cognome comune scelto da due donne unite civilmente, trasmesso peraltro anche alla bambina nata dopo la celebrazione dell’unione.

Poche settimane fa, in una precedente guida ad hoc, ed anche presentando il decreto attuativo n.5/2017 della legge n. 76 del 2016 (cd. Legge Cirinnà), noi di Gay Lex avevamo rilevato la verosimile illegittimità costituzionale della norma contenuta nel decreto attuativo n. 5 del 19 gennaio 2017 (articolo 3, comma 1, lettera c), n. 2), in quanto il Governo delegato a dare attuazione alla Legge Cirinnà aveva, a nostro avviso, sostanzialmente derogato ad un principio espresso dalla stessa legge, senza tuttavia averne il potere: dunque un eccesso di delega. Cerchiamo di spiegare brevemente i vari passaggi.

La legge sulle unioni civili e il decreto ponte

A norma di legge sulle unioni civili è prevista per le parti dell’unione civile la possibilità di adottare un cognome comune. Il comma 10 dell’art. 1 infatti recita così: “Mediante dichiarazione all’ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all’ufficiale di stato civile”.

Nell’idea di chi ha scritto il testo della legge Cirinnà c’è (anzi, ormai bisognerebbe dire c’era) l’evidente volontà di replicare la disciplina prevista nel modello tedesco della Lebenspartnerschaft, che lascia alle parti la libertà della scelta del cognome.
La disciplina transitoria contenuta nell’art.4 comma 2 del cd. “decreto ponte” (D.P.C.M. n.144/2016) prevedeva quindi la scelta del cognome, ispirandosi espressamente al modello tedesco, e prevedeva anche che, a seguito della dichiarazione delle parti, i competenti uffici procedessero “all’annotazione nell’atto di nascita (delle parti, ndr) e all’aggiornamento della scheda anagrafica”.

La controversa interpretazione dopo decreti attuativi

I decreti attuativi però disattendono questa interpretazione del comma 10 e fanno una scelta per certi versi assolutamente incomprensibile.

Infatti ai sensi dell’art.1 (comma 1, lett. m, n. 1, sub f, capo v. g-sexies) del D.Lgs. n.5/2017 si precisa che la scelta del cognome comune “non incide sui dati personali delle parti”. Questa interpretazione è in netto contrasto con quanto previsto nel cd. “decreto-ponte” e con quella che sembrava essere la lettura del comma 10 della legge – facendo degradare il cognome aggiunto scelto dalle parti dell’unione civile a semplice “cognome d’uso”. Il legislatore si spinge oltre: nell’articolo 8 del medesimo decreto, infatti, prevede addirittura l’annullamento delle modifiche anagrafiche effettuate per le unioni civili celebrate quando era in vigore il decreto ponte, operato d’ufficio dalle anagrafi civili e senza possibilità di contraddittorio.

La decisione del Tribunale di Lecco

Il Tribunale di Lecco ha dato ragione alla prima delle coppie che hanno fatto ricorso in tutta Italia. Senza neppure affrontare il tema della illegittimità costituzionale del decreto attuativo, i Giudici hanno “disapplicato” la norma che cancellava i cognomi già scelti ravvisando una violazione dei principi di diritto europeo che tutelano il diritto al cognome stesso. Secondo l’ordinanza, infatti, il Decreto ponte del luglio 2016 aveva dato corretta attuazione al principio contenuto nella legge, consolidando un diritto soggettivo delle persone unite civilmente al mantenimento del cognome anagrafico comune.

Il successivo decreto attuativo, invece, avrebbe voluto cancellare tale diritto soggettivo in maniera illegittima, in quanto contrasta con il diritto alla identità personale (anche del minore) sancito da fonti di diritto europeo. Il Tribunale di Lecco ha quindi riconosciuto il diritto a mantenere il cognome scelto, ritenendo che “l’avvicendamento di norme ha senz’altro prodotto nella fattispecie in esame una lesione della dignità della persona e dell’interesse supremo del minore, che trovano tutela nei sopra richiamati principi fondamentali dell’Unione europea”.

E adesso?

L’ordinanza del Tribunale di Lecco non ha sollevato l’obiezione di legittimità costituzionale, ma si è limitato a risolvere la problematica alla luce del diritto all’identità personale in una visione orientata ai principi dell’Unione Europea.

Sicuramente altri Tribunali, in cui sono pendenti ricorsi analoghi, a breve prenderanno delle decisioni e dunque forse sarebbe opportuno un urgente intervento legislativo (o dell’esecutivo che ne ha il potere) per risolvere questa evidente problematica.

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