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Gay nello sport: fare coming out in un mondo machista

La storia recente ci ha regalato numerosi coming out nel mondo dello sport. Anche nel nostro paese. Figli probabilmente del processo di normalizzazione derivante dalla società civile e spinti dalla crescente propensione ad affrontare temi LGBT a livello mediatico.

Il primo coming out davvero significativo lo possiamo collocare negli anni ’80, quando il calciatore inglese Justin Fashanu dichiarò pubblicamente la sua omosessualità. Atto che ebbe conseguenze pesantissime. Progressivamente Fashanu venne rinnegato dal mondo del calcio, dalla comunità nera e dal fratello John. Finì per togliersi la vita nell’ormai lontano 1998, a soli 37 anni d’età.

Nei cosiddetti “sport minori”, che tanto minori in realtà non sono, i coming out sono stati numerosissimi, ma ogni sport meriterebbe un approfondimento a sé stante. Innanzitutto andrebbero ben distinti gli sport individuali da quelli di squadra. Di certo dichiararsi può risultare maggiormente complesso nell’ambito dell’appartenenza a un gruppo, riflettendo anche su quelle che sono le classiche dinamiche “da spogliatoio”. Vi sono poi sport di squadra come il rugby, il football americano e il già citato calcio storicamente contaminati dall’imperante cultura del “machismo”, decisamente incompatibile con l’idea di un giocatore diverso dal prototipo del “maschio alfa”. Le donne peraltro, sempre in quest’ottica, vengono spesso considerate meno predisposte e abili nel praticare le pratiche sportive caratterizzate dal contatto fisico.

Nel rugby vi è stato nel 2009 un coming out molto dibattuto, per la sua dirompenza, arrivato dal giocatore gallese (nonché capitano della nazionale del Galles) Gareth Thomas. All’età di 35 anni Gareth decide di uscire allo scoperto, specificando di aver sempre vissuto nascostamente la sua condizione. Un estratto significativo delle sue dichiarazioni dell’epoca: “Sono sempre stato attento ad essere il più maschio di tutti, ero sempre quello che beveva di più, quello che cominciava una rissa, quello più duro. Poi ho sposato la donna perfetta per me, Jemma. Andavo in Chiesa prima del matrimonio, mi sedevo sulle panchine e stringevo forte le mani pregando che questa cosa andasse via, pregando di diventare etero”. Qualche giorno prima, del tutto casualmente, il rugbista italiano Mauro Bergamasco affermava che nel rugby esistevano giocatori gay anche se lui non ne aveva sino a quel momento mai conosciuti.

Quello di Michael Sam è stato invece il primo coming out nella storia del football americano, altro sport dove la “forza maschia” è associata alla buona riuscita dell’attività sportiva.

Venendo invece all’Italia, Nicole Bonamino è stata la prima sportiva italiana a fare coming out. Nicole, all’epoca ventiduenne (parliamo del 2014), portiere della Nazionale Italiana di hockey in-line (pratica simile all’hockey su ghiaccio ma praticato sui pattini in linea). Al suo coming out fece seguire questa dichiarazione: «perché se non siamo noi a cambiare le cose, le cose potrebbero non cambiare mai».

Dal calcio italiano non sono ancora giunti coming out. L’omosessualità rappresenta ancora un enorme tabù all’interno del mondo del calcio, soprattutto maschile. A metà degli anni ’90 un cronista italiano subì una condanna per diffamazione aggravata nei confronti dell’allora calciatore Gianluca Vialli, reo di averlo definito erroneamente “omosessuale”. Condanna che esplicitò a chiare lettere la presunta incompatibilità dell’omosessualità con la figura del calciatore professionista, nonché l’assoluta inadeguatezza nel ruolo educativo del calciatore nei confronti dei ragazzi più giovani. Per dovere di cronaca riportiamo un breve estratto della sentenza di condanna: “La figura dell’atleta professionista, forse ancor prima di quella dell’ uomo, ne resta gravemente compromessa, non essendo assolutamente possibile rendere conciliabile nell’ immaginario collettivo, la figura dell’atleta e quella dell’omosessuale”.

Recentemente La Gazzetta dello Sport ha scelto di porre un paio di domande all’ex calciatore dell’Inter Vampeta riguardanti “gustosi” retroscena su lui e Cristiano Ronaldo:

Ronaldo «flirtò» con dei trans.
“Sì, Ronaldo mi invitò a cena in un ristorante. Era con 5 donne. Quando li incontrai avevo già bevuto 3-4 caipirinhas e gli chiesi: “Chi sono le donne e chi sono i trans? Io voglio stare solo accanto alle donne”. Le ragazze se la risero di gusto. Ronie un po’ meno, ma scherzavo…”.

Lei nel 1999 posò nudo per una rivista gay.
“Sì, ma non sono mai stato gay. Però ho una sorella lesbica e ovviamente la rispetto come tutti gli omosessuali”.

Un sorprendente evento all’interno del nostro calcio è arrivato invece dalla provincia di Salerno, quando Marina Rinaldi, donna trans, diventa allenatrice. «Il calcio è stata la mia salvezza» dice Marina e, recentemente, completa la transizione con l’intervento chirurgico. Ancor più affascinante il fatto che a chiamarla sulla panchina della squadra del San Michele Rufoli sono stati due parroci: don Michele Alfano (presidente del club) e don Giuseppe Greco. Una delle rarissime allenatrici donne ad allenare una compagine maschile. Un sonoro calcio sferrato al “machismo” più radicale.

Tre storie che ci hanno colpito recentemente, a livello internazionale, sono state quella (ormai nota) del nuotatore britannico Tom Daley (che annunciò pubblicamente il suo fidanzamento con lo sceneggiatore Premio Oscar Oscar Dustin Lance Black), quella del giocatore spagnolo di pallanuoto Víctor Gutiérrez (pochi giorni fa dichiaratosi pubblicamente gay) e quella, decisamente meno allegra e spensierata, dello spagnolo Jesús Tomillero (primo arbitro apertamente gay costretto a ritirarsi per l’eccessiva carica di omofobia ricevuta).

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