Czarny Protest: il diritto all’aborto passa da corpi di donne vestite di nero

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Un momento della protesta

Czarny Protest, proteste in nero. È questo il nome del movimento nato in Polonia in queste settimane per contrastare un progetto di legge che di fatto rende illegale l’interruzione di gravidanza. A fine settembre, infatti, con una maggioranza di 267 deputati su 460, il parlamento ha votato a favore della proposta che per essere legge definitiva dovrà affrontare altri due passaggi legislativi.

Lo scorso 3 ottobre, nel paese slavo si è così tenuto uno sciopero generale delle donne, accompagnato da manifestazioni in altre città d’Europa. Le cittadine polacche vestite di nero si sono rifiutate così di andare a lavoro, di accudire la prole – dopo aver provveduto che altri badassero a bambini e bambine in loro vece – e di svolgere mansioni domestiche, con lo scopo di far capire al loro paese l’importanza di essere “tessuto sociale” al pari degli uomini.

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Il logo della manifestazione

Il progetto di legge in discussione rende ancora più restrittivo il ricorso all’aborto, di fatto rendendolo inapplicabile: fino ad oggi, infatti, una donna polacca può decidere di ricorrere all’interruzione in pochi casi, quali gravi rischi per la salute o stupro. Se il provvedimento passasse, invece, si potrebbe decidere di non portare a termine una gravidanza solo se questa può comportare la morte della madre. In tutti gli altri casi vigerà un rigoroso divieto, punibile con pene severe.

Provvedimento, questo, voluto dal governo di destra del Pis (Diritto e Giustizia), partito populista e ultraclericale. Dietro tale disegno di legge ci sono, per altro, le pesanti pressioni della chiesa cattolica locale che nel paese slavo ha posizioni ultraconservatrici e contrarie ai diritti e alla piena parità delle donne. I primi risultati di tale alleanza sono di fronte gli occhi di tutti e tutte.

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La prima ministra polacca Beata Szydło (Pis)

Ed è quel che succede quando l’agenda politica la dettano le forze clericali, con conseguenze che potrebbero essere nefaste e contrarie alla piena dignità delle cittadine del paese dell’Europa dell’est. Le donne stuprate e rimaste incinte saranno obbligate, infatti, a portare a termine la gravidanza. I medici pro-choise richieranno, invece, la prigione. Ed è facile prevedere, come sempre accade in condizioni di proibizionismo, un’impennata degli aborti clandestini.

Uno scenario che non sembra invece preoccupare le alte sfere religiose, occupate a combattere immaginari nemici: è notizia di questi giorni la ritrovata ossessione da parte di Bergoglio nei confronti del gender. Mentre questo avviene, si chiudono gli occhi di fronte alla violazione del fondamentale diritto di autodeterminazione, che dovrebbe essere garantito a chiunque in uno stato che si definisce democratico e libero.

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