di Pietro Vinti
La notizia è di qualche giorno fa: la Corte europea dei diritti umani ha condannato la Russia per la sua legge anti-gay (qui la sentenza completa, in inglese). Meglio, le sue leggi. Sono state più entità locali della Federazione Russa ad adottare leggi contro la “propaganda omosessuale”, a partire dalla regione di Ryazan nel 2006, fino alla legge federale del 2013, la più nota. Seguono tutte il medesimo stampo: vietano la promozione tra i minori di “relazioni sessuali non tradizionali”. Ai trasgressori una multa, un massimo di 75 € per i privati cittadini, dieci volte tanto per gli ufficiali pubblici e fino a-15.000 € per le persone giuridiche, secondo il cambio attuale.
Di qui il loro ricorso alla Corte europea, in base all’obbligo sottoscritto dalla Russia di rispettare i diritti contenuti nella Convenzione europea dei diritti umani, tra cui la libertà di espressione. Secondo la Russia la limitazione alla libertà di espressione imposta dalla legge contro la propaganda omosessuale sarebbe pienamente giustificata dagli obbiettivi dell’atto stesso: tutela della morale, della salute pubblica e dei diritti dei bambini.
La Corte però ha fatto a pezzi queste argomentazioni, rilevando che quella legge “incarna un pregiudizio della maggioranza eterosessuale nei confronti della minoranza omosessuale”. Accettando infatti che una qualsiasi opinione della maggioranza, senza prove a fondamento, diventi legge, qualsiasi diritto di una minoranza verrebbe cancellato. E il governo russo non è stato in grado di presentare prove per nessuna delle proprie asserzioni.
A proposito dell’accettazione sociale dell’omosessualità che porterebbe allo sgretolamento dei valori della famiglia, la Corte ha ribattuto osservando come molte persone omosessuali siano invece promotrici di questi valori. Ad esempio perché richiedono accesso al matrimonio e alla genitorialità.
Secondo la Russia, poi, la promozione dell’omosessualità comporterebbe rischi per la salute pubblica, poiché tramite i rapporti omosessuali il rischio di contrarre l’HIV è più alto. Nella realtà è proprio la mancanza di informazione, invece, che aumenta il rischio di infezione. Il punto forte però è la terza argomentazione: bisogna proteggere i minori da un’immagine positiva dell’omosessualità, che potrebbe convincerli ad adottare una “condotta omosessuale”, danneggiando il loro sviluppo e rendendoli più vulnerabili ad abusi, nonché andando contro alle scelte educative dei genitori.
Dei sette giudici che compongono la Camera della Corte che ha emesso la sentenza, solo uno ha votato contro: quello russo. La Federazione Russa ha anche annunciato che farà richiesta di rinvio davanti alla Grande Camera, che invece è composta da 17 giudici. La Corte può rifiutarsi di accogliere la richiesta, poiché la giurisprudenza passata dalla Corte e i principi di diritto internazionale applicati in questo caso sono consolidati e univoci. Solo prove scientifiche inconfutabili sulla possibilità di “convertire i minori all’omosessualità” potrebbero cambiare le sorti della legge russa. Inoltre il consenso della stragrande maggioranza dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa (l’organizzazione internazionale “madre” della Convenzione e della Corte europea dei diritti umani) sul riconoscimento dei diritti delle minoranze sessuali, non lascia spazio ad alcun membro di muoversi in senso contrario.
Il futuro in Russia però non appare roseo, dato che il meccanismo di applicazione delle sentenze all’interno del Consiglio d’Europa è basato sulle pressioni politiche, a cui però una potenza del calibro della Russia può permettersi di fare orecchie da mercante. Si esce dal campo del diritto e si entra in quello della Realpolitik. Infatti non è bastata a far cambiare rotta a Putin la condanna di un altro organo internazionale, il Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite, emessa nel 2012 per un caso analogo. Irina Fedotova aveva esposto in pubblico dei cartelli identici a quelli di Bayev.
Tuttavia l’interpretazione dei diritti contenuti nella Convezione data dalla Corte è immediatamente vincolante per tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, quindi leggi analoghe a quelle russe sono da considerarsi illegittime. Al momento, un solo altro Stato membro ha in vigore una legislazione simile, la Lituania (che è anche membro UE!). Lì è stata mietuta una vittima singolare: un libro di fiabe. La distribuzione è stata dapprima sospesa, poi il libro è tornato in circolazione con un bollino “V.M.14”, a causa della presenza di coppie dello stesso sesso che “vissero felici e contente”. La recente sentenza europea sarà determinante, poiché questo caso è ancora pendente davanti ad un tribunale nazionale.
E fondamentale sarà anche per bloccare proposte legislative nella stessa direzione, come quella in discussione nel Parlamento moldavo. Se vogliamo, questa nuova sentenza è anche un promemoria per il parlamento italiano che non ha ancora adottato una legge contro l’omotransfobia. Una buona legge, si intende, senza emendamenti salva-omofobi.
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