Politica&diritti

Caso Englaro: possiamo permetterci il clericalismo politico?

Alla fine giustizia è fatta, sul caso Englaro: la terza sezione del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha condannato il Pirellone ad un risarcimento di quasi centicinquantamila euro. I giudici hanno stabilito che Eluana aveva il diritto di morire in Lombardia, la sua regione. Invece, per rispettare la volontà della figlia, i genitori furono costretti a portarla in una clinica di Udine. Si legge, sulla sentenza, quanto segue: «La vita familiare, già sconvolta da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, è stata ulteriormente turbata dall’ostruzionismo della Regione Lombardia: si è impedito quindi al ricorrente di dare seguito alla volontà della figlia di non continuare a vivere quello stato di incoscienza permanente». Una sentenza di rilievo, nel panorama politico e culturale italiano, in quanto sancisce due fatti di fondamentale importanza: in primis, il diritto a interrompere le cure e a definire il trattamento di fine vita del malato; in seconda istanza, afferma l’importanza imprescindibile dell’autodeterminazione dell’individuo in quel contesto così delicato.

Beppino Englaro, padre di Eluana

Chi ricorda quei giorni, drammatici sia dal punto di vista umano, sia sotto il profilo politico, non può non tornare con la mente alle dichiarazioni dell’allora governatore Formigoni e di altri protagonisti della vita parlamentare del nostro paese. Per fare un solo esempio, dagli scranni del Senato Gaetano Quagliariello pronunciò le seguenti parole: «Eluana non è morta, Eluana è stata ammazzata». Si riferiva alla decisione di dare il via libera all’attuazione del protocollo che avrebbe determinato la fine delle sofferenze non solo della donna, ma anche della sua famiglia. Una famiglia che, da certa politica, venne paragonata a una coppia di assassini. Giusto per non dimenticare, qualora ce ne fosse bisogno, la qualità del dibattito nelle nostre istituzioni.

I/le contribuenti lombardi, quindi, dovranno sborsare un’ingente somma di denaro per pagare il puntiglio ideologico di chi, in virtù dell’adesione alla propria fede, non riesce ad accettare che qualcun altro viva diversamente dai propri principi. Per scelte che si possono anche non condividere, naturalmente, ma che di certo andrebbero rispettate, soprattutto quando si sta parlando di temi sensibili. E invece riecheggiano ancora le urla in Parlamento e le iniziative ministeriali illecite come l’atto di indirizzo che Sacconi, allora ministro del Welfare, inviò a tutte le regioni sancendo che “interrompere nutrizione e idratazione delle persone in stato vegetativo persistente non è legale per le strutture pubbliche e private del servizio sanitario nazionale”. Una pagina molto buia della vita democratica e civile del nostro Paese.

Quagliariello in Senato, durante il dibattito sul caso Englaro

Un Paese il nostro che è stato costretto altre volte, dalle corti di giustizia, a risarcire le vittime di una politica filo-confessionale e ultra-conservatrice. Nel 2013, infatti, la Corte Europea ha condannato l’Italia a versare risarcimenti per centoventi milioni di euro a causa delle violazioni dei diritti delle coppie gay e lesbiche: la cifra più alta, per altro, mai pagata da uno degli stati membri del Consiglio d’Europa. Anche questo, ricordiamolo, un caso in cui la politica è più attenta alle “suggestioni della fede” che ai bisogni di chi non si riconosce in un certo sistema religioso.

Queste sentenze sembrano dirci una verità evidente, ma ancora oscura ai nostri rappresentati: clericalismo e omofobia hanno un prezzo troppo alto, in termini umani e materiali. A pagare, in un modo o nell’altro, è la comunità tutta (anche chi, a ben vedere, è contrario a temi quali eutanasia, fine vita, diritti Lgbt, ecc). Forse è arrivato il momento di un cambiamento radicale di rotta. In senso pienamente laico. È proprio il caso di dirlo.

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