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Boom di chemsex a Milano. Asa apre il primo centro rehab dedicato

Chemsex. Un fenomeno in forte aumento a Milano. Negli States e in Gran Bretagna sono già stati registrati i primi casi di overdose. Ma il chemsex non è più ‘avanguardia anglosassone’ ormai da almeno 2-3 anni.

“Anche in Italia e sicuramente a Milano non sono più pochi quelli che non riescono a fare sesso se non usando sostanze stimolanti. Sono soprattutto Msm, maschi che fanno sesso con maschi, ma non solo”, racconta all’AdnKronos Salute Alessandra Bianchi, psicologa e psicoterapeuta da 10 anni in forze ad Asa (Associazione solidarietà Aids) onlus e oggi anche al Check Point del capoluogo lombardo, spazio gestito dalle associazioni che si occupano di Hiv-Aids nella Casa dei diritti del Comune.

La preoccupazione degli esperti

Fra gli esperti “la preoccupazione è tanta”. E proprio in Asa Milano si è deciso di avviare il primo servizio di terapia di gruppo per gli utilizzatori di chemsex. Una ‘rehab’ su misura, un primo passo per affrontare il problema. “Ha aperto da poco, lo tiene una collega psicoterapeuta, esperta sulle dinamiche della ‘Milano underground msm’, insieme a un volontario che è un chimico farmaceutico, quindi con le competenze giuste per spiegare anche tecnicamente cosa fanno le sostanze che si assumono”. Il problema è che “pochi chiedono aiuto – osserva Bianchi – E’ difficile l’aggancio. Ma nel gruppo di terapia, aperto a chiunque sia in difficoltà col chemsex, i numeri sono in crescita e ad oggi i partecipanti sono a quota 6”, raddoppiati nel giro di poche settimane. Del resto, solo fra chi si sottopone ai test dell’Hiv in Asa i fruitori di chemsex risultano essere circa uno su 10. Mentre tra gli utilizzatori della Prep (profilassi pre-esposizione), un trattamento farmacologico preventivo messo in campo per evitare un’infezione da Hiv in soggetti ad alto rischio, le stime si alzano fino a quattro volte.

Il linguaggio in codice e le sostanze

I maschi omosessuali risultano più coinvolti nel fenomeno, rispetto agli etero uomini e donne. Il passaparola corre nelle chat, sui social network con servizi di geolocalizzazione come Grindr, fra le cosiddette ‘Bear community’. C’è un codice per riconoscersi. “C’è chi lo dichiara fin dal nick name di fare party chem – racconta Bianchi – chi mette simboli come il diamante per far capire che usa droghe. Una volta era magari solo l’Mdpv“, droga sintetica in forma di piccoli cristalli o polvere che ha fra i suoi effetti anche quello di aumentare l’eccitazione sessuale, “ora anche ‘G’“, vecchia conoscenza delle cronache (come ‘droga dello stupro’), “e tanti altri ‘chems'”, in una varietà infinita dal popper al più rudimentale ghiaccio spray, le bombolette usate in ambienti sportivi per le contusioni, da spruzzare su un tessuto tipo spugna e poi aspirare. Di analisi sui chem utilizzati in questi contesti gli esperti dell’Asa ne hanno condotte diverse. In generale negli ultimi anni sembra che le sostanze più utilizzate siano Mdma, ghb, crystal, chetamina, mefedrone. Non raramente si accompagna il tutto a cannabis, seguita da alcol. “Il rischio di sviluppare dipendenza è altissimo, e c’è anche una resistenza a prenderne atto”, ragiona l’esperta. “Un paio di anni fa si era anche tentato di mappare i servizi che si occupassero di chemsex e non c’era niente, adesso qualche Sert fa qualcosa. La fatica è che il modello classico delle tossicodipendenze non sempre funziona”. Fra gli addetti ai lavori ci si confronta sui pericoli emergenti, si guarda anche all’estero. Uno dei timori riguarda per esempio il ‘fentanyl’, potente oppioide sintetico.

Il rischio mortale del fentanyl

Alla sostanza in relazione al chemsex veniva dedicato ampio spazio in un numero della rivista dell’Asa. L’esordio era una domanda: “Se ci fosse a mia insaputa?”. Nello speciale viene messo in evidenza come la mortalità dovuta al fentanyl rappresenti un fenomeno grave negli Stati Uniti e questo va considerato perché suona come un campanello d’allarme rispetto a qualcosa che potrebbe succedere prossimamente anche in Italia, dove nel 2018 si è tra l’altro accertato un decesso per overdose da fentanyl. Nel focus si spiega che “a causa del suo basso costo di produzione, il fentanyl può essere miscelato dai trafficanti come sostanza da taglio assieme a sostanze più costose che hanno usi e effetti molto distanti dagli oppioidi”. Quindi potrebbe anche essere “nascosto come polvere da taglio in sostanze stimolanti” come quelle utilizzate nel chemsex. C’è poi l’impatto psicologico del chemsex, che “il più delle volte non è il fuoco del problema, ma il sintomo di qualche disagio profondo”, dice Bianchi. C’è chi lo fa con un partner singolo, spiega l’esperta, “ma quello che succede più di frequente è che all’appuntamento si aggiungano amici e ancora altre persone e diventa qualcosa che va avanti con ritmi disumani per l’intero weekend e non lascia indenni il lunedì mattina”. Chi ne è uscito si chiede come ha fatto. Gli psicoterapeuti vedono “sempre più persone con queste problematiche”. E le testimonianze si accumulano. Dal professionista che, in forze su turni a bordo degli aerei, nel giorno libero si dedicava al chemsex arrivando poi sul posto di lavoro in condizioni sempre meno brillanti, al ragazzo che fa un paio di colloqui con lo psicologo e “poi scompare perché è stato a farsi e rifarsi”

La solitudine

Ovviamente, ragiona Bianchi, “le sostanze sono di per sé piacevoli e il sesso sotto effetto di stupefacenti dà emozioni altissime sennò non funzionerebbe, ma c’è un dopo con cui fare i conti – osserva – Per ognuno c’è una sfumatura, una molla diversa. C’è chi pensa di rendersi appetibile agli occhi degli altri ostentando soldi e investendoli in droghe e festini, come quando da bambino hai le caramelle e tutti vengono a giocare con te. C’è una sensazione di onnipotenza, un’amplificazione di certe situazioni vissute come positive. C’è chi pensa di non essere desiderato da nessuno e che fare chemsex possa aiutare, chi ha paura di una relazione, chi lo fa per gratificarsi”. Ma quando si spengono le luci sfavillanti, “il giorno dopo ci si sente più soli di prima, non è certo il contesto in cui si trova il compagno della vita. Sono esperienze che lasciano dei segni, anche se a prima vista è difficile prendere coscienza di questo. Noi che siamo un’associazione focalizzata su Hiv-Aids ce ne occupiamo perché, anche fra le persone tendenzialmente attente, l’uso del condom cala drasticamente quando si ricorre a sostanze durante i rapporti, con tutti i rischi che ne conseguono”. Uscirne non è facile, “c’è chi soprattutto all’inizio riesce a mantenere una discreta qualità di vita, ma anche tanti che sono rimasti schiacciati. Ricordo un professionista che ha fatto 4 mesi a casa con ricovero in psichiatria e ha bloccato tutto e tutti per evitare di cadere di nuovo nell’incubo. Un altro mi ha raccontato di crisi e allucinazioni, di un ragazzo che in preda alle paranoie girava in casa col coltello per paura che qualcuno gli facesse del male. Sono casi estremi ma non così isolati. E l’overdose, il cedimento dell’organismo, non sono spettri lontani”.

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