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Bologna: in aumento il fenomeno delle persone lgbt senza casa

Un vero e proprio grido d’allarme, quello lanciato oggi dalla responsabile del servizio Contrasto alla grave emarginazione adulta dell’Asp di Bologna. I dati presentati oggi a Palazzo d’Accursio delle persone senza dimora che hanno chiesto aiuto alle istituzioni parlano di 2494 casi nei primi otto mesi del 2017 contro i 2930 dell’intero 2016. Non è azzardato prevedere che il totale di quest’anno supererà quello di quello scorso.
Di queste persone, una su tre è italiana e, di questi, l’80 per cento si è ritrovata per strada dopo la rottura di legami familiari. I restanti due terzi sono migranti in attesa di una qualche forma di regolarizzazione.

Aumentano i casi di persone lgbt

Il dato nel dato è che, come ha dichiarato Monica Brandoli, responsabile del servizio, “assistiamo ad un aumento delle persone omosessuali e transessuali rigettate da famiglie che non accettano il loro orientamento” o la loro identità di genere. Tra loro, sia italiani che stranieri. Chi arriva da fuori Italia, spesso scappa da paesi in cui l’omosessualità e/o la transessualità sono perseguite.

Un tema caldo

“Questo per noi è un tema caldissimo – spiega Vincenzo Branà, presidente del circolo Arcigay il Cassero, a Gaypost.it -. Inseriamo molto di frequente ragazzi lgbt in strutture d’accoglienza e non sempre chi non è di origini italiane scappa dal proprio paese. A volte scappa dalla propria comunità di riferimento e si trova a vivere un doppio disagio: rifiutato dalla famiglia perché gay o trans e dal resto della società perché non di origini italiane”.

Criteri troppo rigidi

“Bisogna sottolineare che su questo tema la sensibilità delle istituzioni sta aumentando e trova una sinergia con le associazioni. Questo sta permettendo di vedere le nuove forme di emarginazione – continua – che richiedono interventi specifici. Ad esempio, rispondere ai criteri richiesti per essere ammessi velocemente nelle strutture d’accoglienza, la cosiddetta “bassa soglia”, è spesso molto difficile. Tra i criteri richiesti, non c’è l’essere vittima di violenza, a meno che non si parli di donne o di minori. Inoltre, quando una persona lgbt riesce ad entrare in una di queste strutture, rischia di trovare ambienti ostili, perché le persone che vivono lì vengono spesso da sacche di emarginazione in cui l’omofobia è molto diffusa”. Capita, dunque, che anche quando una persona lgbt riesce ad accedere ai luoghi di accoglienza istituzionale, poi preferisca uscirne per non trovarsi in situazioni di ulteriore discriminazione.

Le strutture di supporto non istituzionali

“In questi casi, o nei casi in cui le persone che assistiamo non abbiano i requisiti richiesti dai regolamenti – spiega Branà – ricorriamo ad altre strutture. Ad esempio quelle cattoliche, che possono avere criteri di selezione molto più elastici. Ma anche i centri sociali e le occupazioni hanno spesso fatto da ammortizzatore, in questo senso. In attesa di potere accedere ai percorsi istituzionali, questi luoghi offrono un appoggio determinante per evitare alle persone lgbt di rimanere per strada”.

Le “case di transizione” del Mit

A Bologna anche il Mit – Movimento identità transessuale, è un punto di riferimento per le persone trans che si trovano in situazioni di difficoltà. Attraverso le cosiddette “Case di transizione”, l’associazione permette a queste persone di affrontare il passaggio dalla vita in strada all’emancipazione.
“Il problema va affrontato tutti insieme – conclude Branà -. Il Cassero ha attivato delle collaborazioni con altre associazioni, come quella con Piazza Grande (l’associazione bolognese che si occupa di homeless, ndr) per il progetto “Generi di conforto” che offre pasti nei giorni di chiusura delle mense Caritas, con il supporto di Coop. Ma bisogna intervenire anche in termini di regolamenti e legislativi, perché quando hai leggi che respingono più che accogliere è chiaro che rimane l’emergenza”.

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