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L’appello dei giovani senza cittadinanza al presidente Mattarella: “Non lasciateci soli”

Com’è noto, lo scorso 23 dicembre il Senato avrebbe dovuto votare la legge sullo Ius Soli temperato (ovvero la possibilità per i bambini nati in Italia di acquisire la cittadinanza italiana dopo un ciclo di studi). Ma è mancato il numero legale per l’assenza di tutti i senatori del M5S, di 29 del Pd e di quasi tutti i centristi.
La legge, dunque, rischia di non essere neanche discussa perché, a quanto pare, il Presidente della Repubblica scioglierà le camere il 29 dicembre e la discussione è stata calendarizzata per il 9 gennaio. Una beffa per quasi un milione di persone, tra cui 800 mila bambini che vivono regolarmente in Italia dalla nascita.

La lettera a Mattarella

Il movimento Italiani senza diritti ha preparato una lettera da recapitare a Mattarella domani, giorno dell’anniversario della promulgazione della Costituzione.
I ragazzi e le ragazze cosiddetti di “seconda generazione”, chiedono al Presidente di non abbandonare quella battaglia iniziata non ora, come in molti credono, ma nel lontano 1997, quando la Rete Nazionale Antirazzista organizzò le prime mobilitazioni e “molti e molte di noi non erano ancora nati”.

“Non lasciateci soli”

Una legge su cui la polemica politica si è fatta feroce, mischiando la questione dei flussi migratori, dei profughi, delle persone che arrivano sui barconi. Per alcuni è solo una questione di scontro parlamentare, ma per il milione di “italiani senza diritti” è molto di più. Citando Hannah Arendt spiegano che si tratta del «diritto ad avere diritti». “Puntiamo – spiegano – ad ottenere, finalmente, il nostro riconoscimento come categoria sociale finora ignorata”. E anche se la legge appare divisiva, per l’aspro dibattito che si è sviluppato intorno al testo, i ragazzi ricordano che è necessaria “a potenziare gli anticorpi e a creare argini contro la deriva di forze antidemocratiche e destabilizzanti”. Infine l’appello: “Non lasciateci soli ancora una volta”.

Il testo integrale della lettera

“Egregio Presidente della Repubblica,
Oggi, 27 dicembre, ricorrono i settant’anni della promulgazione della Costituzione del nostro Paese. In una giornata così bella e fondamentale per le nostre vite e per la nostra democrazia, è nostro dovere ricordarLe come molte e molti di noi abbiano imparato a conoscerla tra i banchi di scuola, imparandone i valori fondamentali di libertà, uguaglianza, pace, rispetto, imparando a diventare di fatto cittadini e non più sudditi, secondo gli auspici di Piero Calamandrei e le opportune circolari ministeriali che spingono i docenti a seminare semi di cittadinanza attiva nei loro allievi e nelle loro allieve.

Tutti e tutte noi l’abbiamo letta, riletta e riscoperta in questo anno di mobilitazione a favore della riforma della cittadinanza, ci siamo riconosciuti profondamente nei suoi valori, e in particolare nell’articolo 3, il cui secondo, magnifico comma, concepito dal padre costituente Lelio Basso, che recitando ” […] E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” , prospetta un orizzonte di riduzione delle diversità e di accesso ai diritti fra le varie componenti della Nazione e di progressivo ampliamento dei diritti e della platea degli aventi diritto come inscritto nell’intelaiatura profonda della Repubblica.
Caro Presidente, concorderà con noi che il 23 dicembre la Repubblica ha fallito nella rimozione di questi “ostacoli”, mantenendo di fatto una distinzione netta tra cittadini e non, basata su una concezione prettamente elitaria ed economica della cittadinanza.

La cittadinanza è qualcosa di più di un diritto. La grande filosofa Hannah Arendt l’ha definita «il diritto ad avere diritti» in quanto solo il riconoscimento della cittadinanza trasforma un individuo in un soggetto giuridico detentore di diritti.
Non lasci che questa battaglia, iniziata con le prime mobilitazioni della Rete Nazionale Antirazzista nel 1997, quando molti e molte di noi non erano ancora nati, cada in un nulla di fatto. Anche perché così non è. Il quadro che consegnerebbe al Paese la rinuncia a discutere in aula la riforma della cittadinanza è ben diverso da quello che si presentava all’inizio della legislatura. In questi mesi, forze oscure che puntano a indebolire le ragioni della convivenza e dello stato di diritto sono cresciute, proprio cavalcando le ragioni del fronte del no alla riforma, riattivando la memoria di parole d’ordine che credevamo dimenticate, legate al fascismo e del colonialismo.

Qui, non si parla di una battaglia che punta semplicemente alla conquista di un accesso alla cittadinanza più semplificato, con la nostra battaglia puntiamo ad ottenere, finalmente, il nostro riconoscimento come categoria sociale finora ignorata e dimenticata; con la nostra battaglia puntiamo ad una politica di ampio respiro, al passo con i tempi e che soprattutto sappia riconoscere i cambiamenti sociali e culturali del proprio Paese. Con la nostra battaglia, inoltre, puntiamo ad ottenere un’applicazione ancora più incisiva della nostra Costituzione Italiana.

Talvolta le autorità di un Paese democratico sono chiamate dalla Storia a promuovere leggi che possono apparire divisive ma che in realtà sono necessarie a potenziare gli anticorpi e a creare argini contro la deriva di forze antidemocratiche e destabilizzanti.
Non lasciateci soli ancora una volta.
RingraziandoLa della Sua attenzione, cogliamo l’occasione per augurarLe buone feste.
Con Rispetto,
Il Movimento #ItalianiSenzaCittadinanza”.

(foto: Facebook / Italiani senza cittadinanza)

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