#quellavoltache: dalle elementari all’università, l’album di figurine più deprimenti del mondo

Dopo le storie di Marta e di FrancescaB, oggi ospitiamo il racconto di Federica (anche in questo caso, è un nome di fantasia). Anche lei, come le altre, ha scelto di raccontare la sua storia di abusi. Anzi, in questo caso bisognerebbe parlare di storie? Aderendo a #quellavoltache, il progetto di narrazione collettiva nato per contrastare il victim blaming contro le donne che denunciano le violenze subite, Federica ci ha scritto e ci ha affidato quello che non aveva avuto il coraggio di denunciare quando è successo. Ecco le sue storie che lei ha chiamato “l’album di figurine più deprimente del mondo”.

Elementari

Faccio le scuole elementari e gioco a pallavolo, come tutte le bambine folgorate sulla via di Damasco da Mila e Shiro. Gioco nella squadra dell’oratorio. C’è questo ragazzino più grande di noi che frequenta l’oratorio, avrà 16 o 17 anni. Periodicamente va da qualcuna delle mie compagne di squadra a chiederle se vuole essere la sua fidanzata. In cambio offre buste intere piene di caramelle. Non sappiamo perché i fidanzamenti durino il tempo di una passeggiata dietro gli alberi dietro i campi sportivi, e perché le sue ex-fidanzate siano poi così a disagio con lui, ma i nostri genitori dicono che sia un po’ strano ma innocuo e in fin dei conti ci sono sempre caramelle per tutti, quindi a posto così.

Medie

Dalla seconda media in poi ho il permesso di tornare a casa da sola da scuola a piedi, purché siamo almeno in due. Tra casa mia e la scuola c’è una strada di terra battuta in cui le case sono ancora in costruzione, dovremmo evitare di passare di lì, ma è la strada più breve. Un pomeriggio la mia amichetta non c’è e faccio la strada da sola. Vicino ad una delle case in costruzione c’è un signore che si avvicina con l’aria di chiedermi un’informazione, e mi domanda “Lo vuoi questo?”.

A casa mia di sesso non si parla, a dodici anni non ho idea di come sia fatto un pene, e ci metterò un altro paio d’anni a capire che quello che mi è stato offerto è un cazzo. Torno a casa e non lo dico a nessuno perché non ho le parole per spiegare, onestamente non ho idea di cosa sia la cosa che è appena successa e perché mi abbia lasciato così tanto a disagio.

Superiori

Sono sull’autobus che mi porta a casa da scuola, ho le cuffie e sto ascoltando la musica. Dietro di me si siede un signore di una certa età. Dopo qualche minuto mi tocca una spalla, penso che mi abbia chiesto qualcosa e che con la musica nelle orecchie non l’ho sentito. Mi volto e mi rendo conto che si sta masturbando. Si viene sui pantaloni e si pulisce le mani ridendo. Vado dall’autista, che mi dice che sì, lo sanno, è un habitué di quella linea, ma cosa devono fare? Mica gli possono impedire di prendere l’autobus.

Università I

Secondo anno di università. Devo dare un esame le cui le lezioni si sovrappongono con un altro corso, per cui salto le lezioni e vado direttamente a dare l’orale dopo aver studiato i testi. Faccio l’esame, lo passo senza problemi, ma il docente non mi registra subito il voto (era ancora l’era dei registri cartacei). Finito l’esame il docente mi chiede se ho già deciso la mia specializzazione e se mi interessa considerare di fare la tesi con lui. Una settimana dopo vado all’appuntamento, e mentre son lì che aspetto di entrare chiacchiero con un’altra studentessa che mi fa: “ma sei sicura di voler andare con quella maglietta lì?”.

Era la sessione di luglio, c’era un caldo che si moriva, era una maglietta normalissima dallo scollo morigerato. Salta fuori che il docente di quell’esame lì aveva una nota fama di allungare le mani. “Eh ma è una cosa che si sa.”Vabbè, non facciamoci condizionare dalle voci di corridoio”.

Entro nello studio e il professore chiude la porta a chiave “così non ci disturbano”.

Inizia a sciorinare una serie di riviste specialistiche sulla scrivania e mentre son lì che le guardo mi mette il braccio intorno al fianco. Mi sposto. Lui inizia a parlare del fatto che se avessi fatto la tesi con lui “ci saremmo visti molto spesso”. Io inizio a pensare che forse è stata un’idea di merda.

Lui mi ricorda che deve ancora registrare in segreteria il voto d’esame e mi mette con grande naturalezza le mani sul culo. Io più di tutto continuo a pensare al fatto che non ho modo di dimostrare che io quell’esame l’ho passato. Che faccio? Reagisco e rischio di dover ridare l’esame ad ogni sessione per tutti gli anni successivi finché pare a lui o abbozzo?

Questa storiella non ha un finale, perché in quella la porta si apre ed entra la sua assistente, che non fa una piega né a trovare la porta chiusa a chiave né a vedere lui con la mano sul culo di una studentessa, però l’interruzione mi offre l’occasione per svicolare ed andarmene.

Università II

Vado a una festa e lì incontro un mio compagno di università. Balliamo, beviamo qualcosa, poi torno dai miei amici. Il pomeriggio successivo mi chiede se posso passare a casa sua, dice che vuole parlarmi. Ci vado, mi fa strada verso la sua camera, ma arrivati lì chiude la porta a chiave e mi guida verso il letto. Io gli dico che ho il ragazzo e che comunque non mi va. Lui dice che del fidanzato non gli importa e che comunque non ci vorrà tanto, cosa mi costa?

Non mi lascia alzare dal letto e non vuole darmi la chiave della porta. Discutiamo, lui si fa sempre più insistente, i collant che ho indosso si strappano. Valuto le mie opzioni, e decido che in fondo in quel momento mi fa più paura la forza con cui mi sta tenendo i polsi che partecipare senza entusiasmo a quello che segue.

Un quarto d’ora dopo sta già russando. Mi faccio aprire la porta, vado a casa, butto i collant. Mi sento in colpa per aver tradito il mio fidanzato. Perché quello è successo, no? Sono andata a casa sua di mia spontanea volontà, ho fatto sesso con un’altra persona, se mi sento male è perché sono una traditrice. Quella gonna non la metto più. Il mese dopo lo incontro in un locale, mi si chiude lo stomaco. Lui si presenta per nome e mi chiede in che facoltà vado. Non si ricorda neanche di me.

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